“Quando ho cominciato io bisognava girare in 16 mm, un sistema molto costoso già all’epoca, ma se vi piace il mio lavoro, vi basta passione, le basi della tecnica e aver visto moltissimi film di tutti i generi, saper usare una telecamera DV, montare con un Mac e infine far vedere il vostro film su un DVD fatto in casa con una qualità straordinaria” parola di John Landis.
Al cinquantaquattrenne californiano ma nato a Chicago, democratico anti-Bush, Landis non passa neanche per l’anticamera del cervello di dire qualcosa tipo “montare con un computer” oppure “montare con un Mac o un PC” e tanto meno “montare con un computer Windows”, nulla di tutto questo, la sua affermazione è limpida e non equivocabile.
Il regista di “The Blues Brothers”, “Tutto in una notte”, “Un lupo mannaro americano a Londra”, “Animal House”, “Spie come noi”, “Una poltrona per due”, “Twilight Zone” e decine di altri titoli memorabili, era alla Libreria Feltrinelli di Milano per chiacchierare con i tanti convenuti e per autografare la monografia di Giulia d’Agnolo Vallan “John Landis” (Utet) a lui dedicata.
Landis in questi giorni è anche protagonista al Torino Film Festival con una retrospettiva che il regista finora tanto temeva, perché “di solito le retrospettive si fanno per quelli morti”.
Se serviva un parere autorevole per convincersi che Hollywood è la città di QuickTime, di Final Cut, di Apple, insomma, come spesso dicono gli uomini di Cupertino, eccovelo.
Auguri a tutti i registi in erba… da John Landis.