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Minorenne suicida, Facebook indagato a Novara

Facebook finisce nel mirino della procura della Repubblica. Uno dei rarissimi casi al mondo in cui il social network appare nelle carte di una inchiesta che potrebbe avere risvolti molto gravi anche dal punto di vista penale, si verifica a Novara dove si sta indagando sulla morte per suicidio di una giovanissima ragazza, Carolina Picchio, che sarebbe stata vittima di atti di cyberbullismo che si sarebbero svolti proprio sfruttando i servizi di Facebook.

I fatti risalgono allo scorso mese di gennaio. Carolina, solo 14 anni, si è gettata, apparentemente senza alcuna ragione, dal balcone della casa dove risiedeva. Gli amici e tutti coloro che le stavano accanto hanno subito puntato l’indice ai giorni precedenti, quando la ragazza era stata al centro di una serie di messaggi e di ammiccamenti che si erano ripercossi tra gli amici della cerchia di Facebook e in conseguenza dei quali Carolina era caduta in uno stato di angosciosa depressione. Incapace di scindere la propria vita reale da quella virtuale, di chiedere aiuto e di confrontarsi, umiliata e disperata, avrebbe così deciso per l’atto estremo.

«Quel che vorremmo capire – spiega il procuratore di Novara Saluzzo nel contesto di una delicatissima indagine che coinvolge una serie di minorenni, accusati di detenzione di materiale pedopornografico e induzione al suicidio – è quanto Facebook ha inciso su questo gesto e se qualcuno aveva segnalato all’azienda quel che stava accadendo e in particolare se c’era la consapevolezza di come si stava usando quello strumento di relazione. Non stiamo indagando la libertà di espressione nè intendiamo contestare  a Facebook di non avere vigilato preventivamente sulla pubblicazione di alcuni messaggi, ma vogliamo capire se a fronte di una esplicita richiesta, non si è operato per intervenire, trascurando la gravità e le possibili conseguenze di quel che stava accadendo». Al momento non pare che Carolina, in prima persona abbia contattato Facebook, e forse era troppo preoccupata e umiliata per parlare di quel che stava succedendo con i famigliari o insegnanti, e quindi non è detto che l’abbiano fatto loro o i suoi amici, ma la Procura vuol capire meglio il quadro della vicenda e per questo vuole avere la libertà di chiamare in causa il social network

Nel fascicolo del magistrato si trova anche una denuncia del Moige, il movimento italiano dei genitori, avanza all’indirizzo di Facebook esplicite accuse con una di ipotesi di reato: istigazione al suicidio. Secondo il Moige ci sarebbe una vera e propria deregulation che ha portato Facebook ad essere una sorta di Far West, dove il cyberbullismo è un fatto comune, dove vincono i più forti e i più deboli soccombono come dimostrerebbero altri, oltre a quello di Carolina, casi di suicidi che conseguenze delle distorsioni che determina una macchina relazionale potentissima e non presidiata. Secondo il Moige, insomma, Carolina si sarebbe suicidata: «non per causa patologica o convinzione personale, ma per immagini e frasi presenti sul social network che hanno generato discredito, vergogna, prostrazione». Ci sarebbe quindi un collegamento tra la morte della quattordicenne e «l’immagine mendace, discriminatoria e diffamatoria pubblicata» da Facebook che sarebbe quindi un responsabile diretto di quanto accaduto.

E di quanto accaduto e delle responsabilità, oltre che del sistema relazionale di Facebook e del suo uso distorto, si occupa anche don Paolo Padrini, in una intervista a L’Azione, il giornale diocesano di Novara, la città di Carolina: «Facebook e i social media in genere – spiega don Paolo Padrini,  autore di “Facebook, internet e i digital media” un libro che affronta la tematica educativa e relazionale di Internet – sono qualche cosa di estremamente reale, di concreto, qualche cosa che per tantissimi ragazzi sta accanto e dentro alla vita quotidiana e che non si distingue da essa. Purtroppo non tutti, direi pochi, tra gli educatori e anche le famiglie è in grado di capirlo. Molti anzi si rifiutano anche solo di avvicinare questo argomento, in parte perché le reputano qualche cosa di inutile, un gioco, in parte perché semplicemente non hanno gli strumenti interpretativi. Questo porta ad un vuoto tra chi ha un ruolo di guida e riferimento e i ragazzi che sono lasciati soli di fronte a qualche cosa che occupa una grande parte della loro vita ed è capace di incidere profondamente sulla loro educazione e sul loro modo di rapportarsi con chi li circonda».

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