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L’Ethernet da un Terabit potrebbe diventare realtà 

Ricercatori di Australia, Danimarca e Cina hanno unito gli sforzi per mostrare la fattibilità  di cavi Ethernet in fibra ottica da un terabit al secondo. La soluzione implica l’utilizzo di un chip fotonico il quale sfrutta la luce laser per lo switching dei segnali e un particolare materiale della famiglia dei calcogenidi.

Gli sforzi del gruppo di ricercatori sono documentati sulla rivista Optics Express nella quale è illustrato il funzionamento di un network da 640 Gbps e un’estensione con approcci simili che rende possibili velocità  di trasmissione dati da un terabit al secondo.

Ben Eggleton, direttore ricerche dell’australiano CUDOS (Centre for Ultrahigh bandwidth Devices for Optical Systems) afferma che il problema non è l’iniezione di così tanti dati in una fibra ottica detta multiplexing ma, bensì, ritrovare i dati ricevuti a velocità  così elevate. Laser singoli, gestiti da elettronica convenzionale, possono “iniettare” dozzine di flussi da 10 Gbps, ma quando si cerca di ritrovare i dati da flussi che superano i 40 Gpbs, “l’elettronica non è sufficientemente veloce”.

La danese Technical University ha fatto varie ricerche sulle reti ottiche ad alta velocità  e, in unione ad essa, il CUDOS ha sviluppato un circuito integrato fotonico che usa i laser e la luce similarmente a quanto accade in un circuito integrato che sfrutta elettronica e transistor.

Il meccanismo di multiplazione (l’invio contemporaneo di flussi dati sfrutta la divisione ottica temporizzata del multiplexing (OTDM, Optical Time Division Multiplexing) che permette la separazione nel tempo dei segnali sullo stesso media. La modulazione di lunghezze d’onda di luce separate, permette un vasto incremento delle capacità  dei sistemi attuali e il trasporto di svariati Gbps per ogni lunghezza d’onda.

Una delle conquiste-chiave dei ricercatori non ha a che fare con la velocità  ma con la praticità . Usando sistemi relativamente tradizionali per incidere i circuiti su vetri di calcogenide e trisulfide dell’arsenico, i ricercatori sono riusciti a ridurre il sistema direzionale delle micro-onde che decodifica i segnali da decine di metri a 5 centimetri.

Eggleton nota che la non-linerarità  nel materiale è la chiave che permette di ridurre le lunghezze d’onda. Il materiale usato dal CUDOS non solo ha una non-linearità  1000 volte maggiore rispetto a quello precedentemente utilizzato ma permetterà  anche di sfruttare il procedimento su un singolo-chip. L’obiettivo, infatti, è ora quello di creare un chip completamente fotonico nelle stesse “fonderie” dove adesso si creano i circuiti integrati CMOS.

“Ci vorranno anni” dice Eggleton, ma i risultati dimostrano la fattibilità  del progetto.
[A cura di Mauro Notarianni]

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