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Apple, gli occhi più grandi della pancia?

L’idea di base è semplice: i prodotti di Apple sono buoni perché sono fatti veramente bene. E non stiamo parlando solo della qualità  della manodopera di chi li fabbrica materialmente. Stiamo parlando anche della qualità  implicita nel design, nel pensiero che c’è dietro. Nella cura dei dettagli, nell’attenzione ai particolari, nell’intelligenza delle innovazioni, nelle linee guida coerenti e sviluppate dopo lungo pensare e lungo interrogarsi.

Negli anni qui nella Silicon Valley i “marziani di Apple” hanno mostrato che l’orgoglio di appartenere all’azienda guidata (due volte) da Steve Jobs non vuol dire solo fare parte di un team vincente, ma di essere spinti a dare il massimo, più di quello che non si crede umanamente possibile dare. E la spinta è sempre forte, radicale, distruttiva e creativa al tempo stesso. Gli ingegneri di Cupertino, come i loro designer e i loro softwaristi sono i corpi speciali della Silicon Valley, le teste di cuoio della tecnologia digitale. E con l’orgoglio viene, come capita alle cinture nere di arti marziali, anche la serenità  di una profonda consapevolezza.

Un così ricco e complesso capitale umano, che cresce e fiorisce sotto l’occhio attento e “stimolante” di Steve Jobs, è una pianta rara nel deserto dell’innovazione mancata. Che adesso viene forse messo a rischio da quello che potremmo definire l’eccesso di successo, ovvero il desiderio di crescere che sta facendo forse scontrare quelli di Infinite Loop con la dura realtà  dei sistemi complessi e delle burocrazie che impediscono di concentrarsi sulla cosa importante (il prodotto e l’esperienza del cliente) facendo invece annaspare in meeting e riunioni inutili, in contrapposte fazioni che si ostacolano a vicenda e via con tutti i temi fin troppo noti a chi abbia mai passato un giorno della sua vita facendo lavoro di ufficio.

Ecco, il seme del dubbio lo mette Wired, con un post del blog dedicato alla Apple che solleva la questione: adesso che Apple sta crescendo in volumi e numero di settori in cui è coinvolta, la sua leggendaria cura e qualità  dei prodotti sta entrando in crisi?
Non è un singolo caso: non è l’iPhone bianco che si crepa in alcuni sporadici casi, non è il MacBook che si rompe o l’iMac difettato, o il ritardo nella patch del sistema operativo, o iCal che da duemila anni nessuno aggiorna o le altre mille piccole idiosincrasie, errori, ritardi, sviste e leggerezze. E’ invece la somma di tutti questi fattori che sta facendo cominciare a pensare che sia davvero difficile avere il controllo completo di quel che succede quando si è impegnati su così tanti fronti (musica, film, telefilm, computer, iPod, iPhone, cloud computing e via dicendo), con volumi così elevati da richiedere continui aggiornamenti ed espansioni dei fornitori e terzisti coinvolti nei processi di produzione, lavoro del marketing, dei controller di gestione, di sistemi di sviluppo e manutenzione delle tecnologie… insomma, di talmente tante variabili che alla fine l’errore passa e non è colpa di nessuno perché non è neanche chiaro chi dovesse vederlo o prendersene carico, in strutture di crescente complessità  organizzativa e con sempre nuove iniziezioni di dipendenti per tenere dietro al business che monta.

Il terrore che si agita nell’oscurità  dell’anima degli appassionati però è questo: Apple ce la farà  a restare in sella alla sua idea di innovazione senza compromessi della qualità ? Oppure il piccolo demonietto che ha già  sbranato altri grandi (Microsoft? Chi ha detto Microsoft?) sta addentando le carni molli del ventre di Apple anche mentre noi siamo qui che discettiamo di filosofia, qualità  e innovazione?

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