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Dati personali, gli italiani disposti a venderli per pochi euro

Essere tracciati è fonte di preoccupazione per gli utenti? Si, ma quest’ultimi sono disposti a vendere tutti i dati che li riguardano per molto poco. Uno studio di Telefonica, in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler e DISI Università di Trento, ha dimostrato che, benché apparentemente preoccupati da possibili meccanismi di tracciamento, gli utenti sono disposti a vendere dati come gusti, pagine web e luoghi visitati in cambio di pochi spiccioli. Lo studio è stato condotto dal 28 ottobre all’11 dicembre 2013 su uomini e donne trentini di varia estrazione sociale, d’età compresa tra i 28 e i 44 anni. “I volontari hanno ricevuto un cellulare, delle ricariche, chiamate, messaggi e accesso a internet”, ha spiegato a Repubblica Jacopo Staiano, dell’Università di Trento, che ha gestito le analisi. “In cambio, abbiamo installato sui dispositivi un software capace di monitorare tutte le attività che svolgevano sul telefonino”.

Il sistema giornalmente poneva gli utenti di fronte a quattro categorie d’informazioni, elaborate il giorno prima: comunicazioni, localizzazione, applicazioni usate, e media, cioè le foto scattate a orari specifici chiedendo poi per quanto era disposto a vendere i dati prodotti partecipando a una sorta di asta inversa, un meccanismo scelto per non falsare i risultati e forzare l’onestà delle valutazioni: vinceva l’offerta più bassa, ma riceveva la somma di denaro che aveva chiesto il secondo classificato.

Interessante come variabili socio-demografiche come sesso, età, e istruzione, non sembrano incidere sulla gestione delle informazione al contrario della mobilità. “Più l’utente si sposta durante il giorno, più tende a considerare i suoi dati importanti”. La geolocalizzazione è considerato un dato personale, privato. “M’inquieta far sapere dove sono stato”, “non voglio essere geolocalizzato” sono le frasi che il team ha sentito ripetere più spesso. Eppure molti sono disposti a vendere questi dati a prezzi molto bassi: due euro è il valore medio dato dagli utenti ai dati prodotti quotidianamente, minuto dopo minuto nel corso della vita digitale.

Bruno Lepri, coordinatore del Mobile Social Computing Lab di Trento, spiega che il potenziale di questi dati è enorme e che ne saranno prodotti sepre di più. “La sensazione diffusa tra i consumatori è che questi dati abbiano un valore molto basso. In realtà, il loro potenziale di mercato è altissimo”. Una grande massa di dati destinata a crescere, secondo gli analisti dell’International data corporation, del 40% entro il 2020. “Il nuovo petrolio di internet e la nuova moneta del mondo digitale”, li aveva definiti nel 2009 Meglena Kuneva, presidente dell’European Consumer Commissioner. Un mole di dati cui tutti ocntribuiamo quotidianamente con smartphone, social network, cookies e sensori che raccolgono informazioni che permettono di comprendere chi siamo, dove ci troviamo, cosa cerchiamo, dove siamo stati, dove vorremo andare. Dati “ghiotti” che fanno gola a agenzie pubblicitarie, assicurazioni, ecc.

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