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Nel futuro di Apple ci sarà  un miniBook?

Steve Jobs, quando ha ripreso in mano il timone di Apple, si è trovato di fronte una situazione abbastanza disperata. L’azienda andava male, il software e il sistema operativo non andavano bene, i computer neanche. Occorreva fare qualcosa. La “cura da cavallo” a cui Jobs e i suoi fedelissimi venuti con lui da NeXT hanno sottoposto la casa di Cupertino è ben conosciuta. Anzi, per qualche appassionato di vecchia data è forse un ricordo doloroso.

Chiusura dell’epoca dei “cloni”, i Mac prodotti da terze parti, chiusura delle divisioni di prodotto non strategiche, tra le quali quella di Newton, ridimensionamento drastico della linea di prodotti. Apple, che stava realizzando un numero impressionante di computer con caratteristiche molto simili e in alcuni casi differenti solo per il nome e il prezzo, aveva confuso sin troppo il mercato, nell’opinione di Jobs. Era il caso di tornare ai fondamentali.

Quali sono stati? Intanto che la divisione software si lanciava a lavorare per creare il nuovo sistema operativo “figlio” di quello utilizzato da NeXT (l’altra ragione per la quale Apple acquistò l’azienda guidata da Jobs. La prima ovviamente è stata Jobs stesso), c’era da ripartire con il vero business di Cupertino, cioè l’hardware. Come vendere i nuovi computer?

L’intuizione di Jobs, aiutato forse anche dalla visione di alcuni suoi importanti amici come il Ceo di Oracle, Larry Ellison, entrato nel consiglio di amministrazione “riformato” dallo stesso Jobs, era quella di creare una macchina “povera”, semplice, per tutti. Sempre la stessa idea, fin dai tempi del Macintosh originale, si dirà . Solo che quello alla fine costava parecchio. La nuova macchina doveva essere adatta a lavorare nell’epoca di Internet. Quindi, iMac, all’inizio molto poco potente perché concepito come elaboratore-terminale da sfruttare esclusivamente in rete. Poi, col tempo, diventato più potente.

Il design di Jonathan Ive è stato solo uno degli elementi del successo dell’iMac. Un altro è stato sicuramente l’aver posizionato chiaramente il prodotto all’interno di una matrice che il marketing ha definito 2×2. Cioè: due prodotti consumer e due prodotti professionali. Un portatile e un fisso per ciascuna categoria. Con nomi facilmente riconoscibili: iMac e iBook, PowerMac e PowerBook. Il gioco di parole con il nome dei processori di Morotola e Ibm, PowerPC, era ovviamente voluto.

Il lancio di questa strategia, oltretutto uno dei punti fermi durante la violenta ristrutturazione di Apple durante la fine degli anni Novanta, ha avuto un impatto fenomenale. E’ facile per il cliente orientarsi, appena capita la logica, tra i prodotti di Apple. E per ciascun tipo di prodotto, in seguito, è arrivata una “declinazione” che non ne cambia però lo scopo. Così, tre modelli di PowerMac, due di iMac, tre di PowerBook, due di iBook.

A questa simmetria, che Steve Jobs sicuramente apprezza anche da un punto di vista estetico, si è aggiunta la variabile iPod. Il prodotto, necessario per riprendere il toro per le corna, vale a dire il mercato della musica digitale, che Apple aveva trascurato per il video ma di cui ha capito meglio di molti altri le peculiarità , è nato come un singolo, piccolo blocco bianco. Poi, si è “moltiplicato” per due: iPod e iPod mini. Un successo, al quale si sono aggiunti prima l’iPod photo e poi lo shuffle.

Mentre pare di intendere che la serie di iPod “normali”, cioè in bianco e nero, sia destinata ad estinguersi nel prossimo futuro, per lasciare spazio ai modelli a colori, la maggiore anomalia è casomai rappresentata dallo shuffle. Questi ha uno scopo preciso di posizionamento sul mercato, è molto gradevole e bello da usare, ma rovina un po’ – per così dire – la simmetria.

Comunque, con l’arrivo del Mac mini, inoltre, si è anche allargato il modello con il quale viene compilata la matrice dei prodotti. Un appassionato di simmetrie adesso noterebbe come i prodotti “fissi” siano in realtà  tre e non più due: PowerMac, iMac e Mac mini. I prodotti iPod sono tre: iPod photo e normale, iPod mini, iPod shuffle. Mentre i prodotti “portatili” sono sempre due: PowerBook e iBook. Logica conseguenza, nel regno della geometria? Apple manca di un anello di congiungimento tra il pubblico professionale che ha bisogno della potenza di un PowerBook e quello amatoriale che preferisce lo stile e la resistenza di un iBook.

Potrebbe trattarsi, lo scriviamo per gioco, di un Book mini, ovvero di un miniBook. Non un prodotto della linea più economica, ma una sorta di tablet con caratteristiche di design e funzionalità  che ancora non sono state scoperte dai produttori di questo tipo di computer. Magari, potrebbe essere semplicemente un sub-notebook, vale a dire un portatile privo di alcuni elementi (lettore cd-dvd, per esempio), pensato come il mini per premiare la portabilità  o il costo.

Da anni ormai il gioco preferito di molti siti web e non solo è quello di prevedere cosa Apple farà . In un certo senso, farlo è un utile esercizio di ragionamento (se è chiaro che si tratta di questo) che aiuta a capire meglio la storia e i prodotti di Apple. Non si tratta quindi di rumors e tantomeno di consigli che indirizzino il mercato di una azienda della quale una cosa soprattutto è chiara: ci sorprenderà .

Come ha sempre fatto Steve Jobs, come hanno fatto i suoi uomini, in grado di reinventare prodotti considerati ormai più che noti, oppure di rendere stabili e utilizzabili tecnologie ancora sconosciute. Perciò, se salterà  fuori un portatile “mini”, ricordatevi che non si tratta di rumors e fonti segrete a Cupertino, ma di una semplice attività  di ragionamento…

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