La Camera bassa del parlamento pakistano ha approvato un controverso idsegno di legge che dà al governo ampie possibilità di controllo sui social media, inclusa la possibilità di incarcerare qualcuno per la diffusione di “disinformazione”.
Associated Press riferisce che il disegno di legge è stato rapidamente approvato dopo che legislatori del partito dell’opposizione dell’ex primo ministro pakistano Imran Khan hanno organizzato proteste per denunciare l’adozione di leggi restrittive. Secondo i detrattori, il governo si sta muovendo per sopprimere ulteriormente la libertà di espressione.
Secondo Farhatullah Babar, attivista nel campo dei diritti umani, le ultime modifiche alle leggi sulla criminalità informatica sono volte a “reprimere ulteriormente la libertà di espressione mediante la creazione di molteplici autorità controllate dall’esecutivo, ampliando le orme di inesplicabili agenzie di intelligence”. L’attivista spiega che la legge conferisce poteri ancora più ampi all’esecutivo, non solo per quanto riguardo il contenuto dei messaggi ma anche sui messaggeri, in altre parole i social media.
In base alla legge sulla prevenzione dei reati informatici sottoposta alla votazione dell’Assemblea Nazionale mercoledì 22 gennaio, le autorità creeranno un’agenzia che avrà il potere di ordinare il blocco immediato di contenuti ritenuti “illegali e offensivi” dai social media, compresi contenuti critici su giudici, forze armate, assemblee provinciali o del parlamento. Individui e organizzazioni che pubblicano contenuti di questo tipo possono, tra le altre cose, essere anche bloccati dai social media.

In Pakistan vige da tempo una severa censura sull’accesso dei suoi cittadini a Internet, tramite la sub-agenzia del Ministero delle tecnologie dell’informazione. Più volte si sono verificati episodi di censura online durante eventi virtuale del Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI) e anche ai giornalisti è stato chiesto di eliminare i riferimenti all’ex primo ministro, al quale si può fare riferimento soltanto come “fondatore del partito PTI”.
Nel 2003 è stata censurata anche Wikipedia, per «blasfemia», ennesimo pretesto dalle autorità pakistane per esercitare sempre più controllo sulle informazioni che circolano su Internet. Nel 2017 un uomo è stato condannato a morte per un commento blasfemo su Facebook.