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Quella volta che Jobs tentò di far partire la mia auto

Sul defunto CEO di Apple, Steve Jobs, si racconta tutto e il contrario di tutto. Leggende narrano che i primi dipendenti avessero paura di incontrarlo nell’ascensore, di un carattere a volte intrattabile, di una persona ossessionata dal controllo e dal perfezionismo. Jobs è sicuramente molto cambiato nella seconda parte della sua vita, diventando più riflessivo e abbandonando i demoni di un tempo. Chi ha avuto modo di conoscerlo all’infuori dell’ambiente di lavoro che idea si è fatta di lui? Su Quora, una sorta di social network nel quale è possibile porre domande e avere le risposte da utenti coinvolti in prima persona in progetti ed eventi, hanno risposto varie persone che hanno avuto modo di incontrare o conoscere Jobs all’infuori del mondo informatico.

Tra i fatti più curiosi, uno riportato da Tim Smith di Applied Design Group (una piccola società con un team specializzato nel design di dispositivi e prodotti vari). Tim racconta di essere stato fidanzato per quattro anni con una giovane ragazza di Palo Alto e che il padre di questa era il vicino di casa di Jobs. “Mi trovavo spesso nel quartiere, alle feste e alle cene”, racconta Smith, “vedevamo i Jobs andare avanti e indietro nella loro “normale” casa senza cancelli, custodi o recinzioni”. “Spesso, a tarda notte, dopo aver cenato a casa della ragazza, uscendo non era raro intravedere Steve lavorare sul suo Mac”.

“Un pomeriggio” prosegue Smith, “arrivai a una festa con una Sunbeam Alpine, una vecchia auto sportiva che avevo all’epoca la sfortuna di possedere” (“sfortuna”, per via di alcuni difetti tipici di queste auto). Dopo la festa avviai la macchina e poco dopo aver lasciato il marciapiedi, per un problema all’impianto elettrico mi fermai con l’auto proprio di fronte al vialetto dei Jobs”. “Le loro auto non c’erano, con mio sollievo, poiché ero sicuro mi avrebbero preso per qualche strano molestatore”. Smith uscì dall’auto per capire cosa fosse successo, con l’idea di mettere le mani nel cofano, andare via prima possibile e chiamare l’AAA (American Automobile Association, l’equivalente alla nostra ACI). “Nel giro di quindici minuti” continua Smith, “sentii due auto dietro di me arrivare sul vialetto: i Jobs erano tornati a casa”. “Rannicchiato nel cofano dell’auto speravo non si accorgessero di me, nonostante la mia fosse l’unica auto sulla strada”. “Entrarono con i loro bambini senza, per fortuna, dire niente”. “Chiusi il cofano per tornare a casa dei genitori della mia ragazza e telefonare e mentre stavo indossando il giubbotto, sentii una voce dirmi: “Inglese o italiana?”. “Era la bella moglie di Jobs, Laurene”. “Inglese, dissi. E si comporta come tale”. “Vuoi una birra?” disse Laurene; “Cercai di rifiutare (un po’ sbalordito all’inizio) ma insistette dicendo: “Non andrai da nessuna parte”, entrando in casa e uscendo poco dopo con due bottiglie di birra.

“Ero deciso a fargli capire che non sapevo esattamente con chi stessi parlando per paura di essere preso per uno stalker, ma la scena già bizzarra per me, che bevevo birra con la moglie di Jobs vicino alla mia auto rotta, divenne ancora più strana”.  “Sai, abbiamo degli amici”, disse Laurene, “che sanno tutto delle Sunbeam. Dovremmo chiamarli”. “La pregai di non farlo”, continua Smith, “dicendo che avrei chiamato l’AAA”. “Lasciò la birra e andò dietro casa tornando dopo un minuto dicendo che gli amici stavano per andare via ma che sarebbero passati per dare un’occhiata”. Smith si rese conto a questo punto di non avere a che fare con la solita elite della Silicon Valley ma con persone vere che volevano solo aiutare un povero ragazzo in difficoltà: “Niente di particolare, ma volendo avrebbero potuto ignorarmi, lasciarmi stare o chiamare la polizia”. Nel giro di quindici minuti, arrivò una lunga auto nera con un signore in smoking e la moglie vestita di tutto punto: era l’amico di Laurene, l’esperto delle Sunbeam”. “Cercai di fermarlo, ma l’uomo in smoking si levò la giacca, aprì il cofano e cominciò ad armeggiare dentro con fare amichevole”.

“A un certo punto”, accade quello che temevo: “Steve Jobs uscì fuori, penso anche lui con una birra in mano, chiedendo cosa stesse succedendo, seguito da uno dei bambini”. “I Jobs chiacchieravano e scherzavano con i loro amici vestiti di tutto punto che riparavano la mia auto, con io che continuavo a ringraziarli ripetutamente”. Il quadretto a un certo punto era questo: il meccanico riverso sul cofano, “io che parlavo con Laureen, Jobs seduto al posto di guida della mia auto cercando, senza successo, di farla partire”.

“Non capita spesso di avvicinarsi a gente come Jobs, e vivere con loro una situazione così buffa”, dice Smith, “sono momenti nei quali ti rendi conto di avere a che fare con persone normali, simpatiche, generose. Niente a che vedere con quanto racconta la stampa. Steve non era il manicale despota del design che i media amavano ritrarre. Forse lo era, ma non sempre”.

La macchina ad ogni modo non ne voleva sapere di partire. L’amico di Jobs si scusò di non poter fare nulla dicendo che si trattava certamente di un problema all’impianto elettrico. Salutarono e partirono con la loro enorme e silenziosa auto. Steve mandò qualche imprecazione all’auto, uscì da questa e tornò dentro. Laurene disse: “Vieni in casa e usa il telefono”. La seguii, passando prima vicino alla biancheria sporca da lavare e poi in cucina dove c’era un telefono con Dio solo sa quante linee, chiamai l’AAA, ringraziai Laurene (forse per la cinquantesima volta) e andai via. Una settimana dopo recapitai una cassetta con sei birre alla porta dei Jobs con un biglietto di ringraziamento”.

Smith ricorderà per sempre il suo incontro con la normalissima famiglia Jobs. “Sono un ammiratore di Apple”, dice, Possiedo una discreta quantità di azioni, ho acquistato la biografia ma non l’ho ancora letta”. Ho avuto modo di vederlo nel suo ambiente domestico, tra la famiglia e gli amici, sono stato fortunato e mi ha fatto molto piacere.

[A cura di Mauro Notarianni]

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