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Twitter, dal caos emerge il metodo di Elon Musk

In queste settimane sono tante, tantissime le polemiche che sono nate attorno alla acquisizione e poi alla gestione di Twitter da parte di Elon Musk. Molte di queste sono ovviamente strumentali, perché l’entrata del magnate americano disturba, sposta degli equilibri.

Twitter “vale” come un gigantesco centro di influenza della società e la sua struttura è basata non solo sulla proprietà delle quote, ma anche su chi riesce ad avere voce al suo interno: non a caso Elon Musk ha riattivato l’account di Donald Trump, per fare un esempio, dando un colpo di timone in una direzione sgradita a moltissimi centri di potere. Lotta di potere tutta americana, dunque, nella quale i mezzi di comunicazione partecipano con una partigianeria che non ci è completamente ignota, qui in Italia.

Poi c’è la parte di strumentalità creata dallo stesso Musk, che è entrato nell’affare a un prezzo (44 miliardi di dollari, basato su una valutazione dell’azienda che poi è rapidamente evaporata prima della finalizzazione dell’acquisto), ha cercato di sfilarsi, ha negoziato un prezzo inferiore, è entrato colpendo a destra e a sinistra la struttura per raggiungere i suoi obiettivi. Anche qui, lotta di potere tutta americana sull’altro fronte.Twitter, dal caos emerge il metodo di Elon Musk

Terzo incomodo: la valutazione su quel che sta succedendo, e soprattutto sulle doti umane di Musk stesso, che è un imprenditore “scomodo” dai tempi di Tesla, azienda assolutamente irrilevante quando è stata presa da Musk e poi diventata il centro della trasformazione dell’auto elettrica, anche grazie alla sua capacità di attirare l’attenzione, e che ha permesso la creazione di SpaceX e Starlink e altro.

Ma la domanda è: Musk è matto? È in buona fede? Ha un piano segreto? È telecomandato da Trump e dalla finanza di destra americana, soprattutto Peter Thiel, con cui ha collaborato e mantiene stretti legami?

Un caso difficile

Il caso Twitter, per così dire, è un caso difficile. Intanto perché l’azienda ha un ruolo unico: è l’eccezione nell’oligopolio dei social media, quella più “debole” e sganciata dal modo di funzionare degli altri (cioè Facebook – Meta), nel senso che non cerca di manipolare in maniera così esplicita e dura gli utenti e la società in generale. Viene vista, forse anche per la maggior fragilità economica, come un posto “buono” e “decente” dai molti, rispetto ad altri. Il Canada rispetto agli Usa, se la si guarda dalla prospettiva dei Paesi non allineati.

Questo però più che farci giungere a delle conclusioni sulla bontà morale di Twitter dovrebbe in realtà far capire che c’è un altro problema: il polverone è tale che in questo momento non è neanche chiaro quali strumenti di analisi vengono applicati. Come si guarda quel che sta succedendo?

Le mosse apparentemente suicide di Elon Musk, che licenzia due terzi dei dipendenti e provoca mandando messaggi ambigui (o non tanto ambigui) sulla possibile chiusura di Twitter sono in realtà un modo di fare business come l’uomo ha sempre fatto? Sono un sintomo di follia incipiente o più che incipiente, come dicono molti osservatori e come sembra dal modo con il quale le notizie vengono raccontate? È cattiveria allo stato puro, con un piano diabolico di dominio del mondo?

Buon compleanno Twitter, quindici anni di successi

 

Analisi complicate

C’è da dire che una analisi semplice (Musk clinicamente folle, ad esempio) è in realtà semplicistica e non preferibile a una che cerchi di cogliere tutte le sfumature di quel che succede. Per dare un giudizio così secco, che peraltro prevede che non ci sia nessun tipo di filtro attorno all’uomo, occorre avere informazioni più chiare e certe, non ci si può basare semplicemente su quello che viene fuori dai giornali spinti dai nemici di Musk (tra gli altri: molti giornalisti che non lo sopportano per svariati motivi). Sono pre-giudizi e come tali non adatti a capire cosa succede.

Se si ammette l’inconoscibilità della verità e quindi l’incapacità di dare un giudizio in questo momento, rinviando le considerazioni a una fase ulteriore da storici e non da cronisti, cosa possiamo fare?

Possiamo fare delle ipotesi non viziate da partigianeria. Un esempio è prendere atto ad esempio del cambiamento in corso nei circuiti dell’economia che sono in atto da alcuni anni. Musk è un imprenditore che sta dando una fortissima visibilità al suo ruolo “social”, è promotore di se stesso e l’acquisto di Twitter è leggibile anche in questo modo: controllare la fonte di energia principale per la crescita della reputazione di Musk (in senso neutro: la sua visibilità) e dando spazio a tutte le sue manovre.

Che Musk non capisca sino in fondo cosa è Twitter e quali sono i suoi prodotti (il prodotto dei social sono i contenuti generati dagli utenti, cioè i loro commenti) pare assodato. Però indurre da questo che Musk non capisce cosa sta facendo e non ha degli obiettivi chiari è un salto logico ingiustificabile. Quello che pare chiaro dalle azioni di Musk è che l’uomo sta cercando di seguire una strategia che ha già funzionato per lui e per altri: fare capitalismo della promozione o capitalismo dell’influenza.

George Clooney

Per spiegare il concetto, facciamo un salto indietro. Le star di Hollywood, i primi “influencer” della storia moderna, sono sempre stati bravissimi a monetizzare la loro fama facendo spot e pubblicità varie, più o meno esplicite. Fino a George Clooney, che ha fondato una azienda che produce Tequila, l’ha promossa come unico portavoce e direttore creativo e, dopo tre anni, l’ha venduta a una multinazionale delle bibite alcoliche per un miliardo di dollari.

Questo approccio si ritrova nel grande e nel piccolo ad esempio tra gli influencer che fondano delle attività basate sulla propria fama. Quel che vendono è un prodotto, magari un hamburger o un kebab, di cui non importa gusto o qualità. Quel che conta è il volto dell’influencer, il marchio stampato sul tovagliolo.

Bozza automatica

Il metodo di Elon Musk e il caso Twitter

Musk segue una strategia simile. Tesla, SpaceX: sono colossi che hanno una tecnologia sottostante notevole, prodotti giudicati in maniera positiva e davvero innovativi. Ma l’accesso al grande pubblico e la certezza di poter reperire risorse sui mercati dei capitali, viene fuori dalla capacità di esporsi e convincere. Non come venditori, ma come influenzatori, promotori del proprio prodotto.

Musk è la terza fase del capitalismo: dopo quello economico (la produzione), dopo quello finanziario (l’investimento) arriva quello che influenza (la promozione) e fa uscire i soldi dalle tasche delle persone o delle banche e dei grandi fondi di investimento.

Se davvero questo è il razionale dietro alla mossa di Elon Musk, il suo trattamento ruvido al limite della follia suicida, con licenziamenti e baracconate varie, serve a dare il senso di una strategia che mira a massimizzare la conoscibilità di Twitter. Per quale fine? Venderlo? Rifondarlo? Chiuderlo e liquidare gli asset? Questo lo scopriremo tra non molto.

Tutti gli articoli che parlano di Elon Musk sono disponibili da questa pagina, invece per quelli dedicati a Twitter si parte da qui.

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