- A proposito di apparenze. Lasciate che vi descriva l’abbigliamento di John Dvorak quando la gang di Macity lo ha incrociato nella medesima fila (che poi e’ stata da lui elusa alla faccia di tutti noi che in fila ci siamo rimasti) riservata alla stampa per entrare al keynote di Jobs al Moscone Center due mesi fa: cappellaccio nero-sporco da cow boy foderato di un fuxia modello “ti graffio tutta se me lo tocchi”, T-shirt sudata e insignificante, anonimo paio di pantaloni neri senza infamia e senza lode, giaccone di nappa di quarta categoria tipo “albanese appena sbarcato dal gommone” foderato anch’esso di un colore da brivido molto simile al rosa sudicio, scarpe dell’Upim molto piu’ assimilabili a delle “ballerine” usate anche da mia cuginetta di 5 anni all’ultimo saggio di danza.
Che un tipo che compie scelte stilistiche di questo tipo giudichi la virilita’ altrui basandola sul computer utilizzato lascia abbastanza perplessi. Il rischio è di non poter smentire nè contestare chi si prenda la licenza di giudicare lui da come si veste.