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Il caso elusione fiscale di Apple sta diventando un caso politico in Irlanda

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Se negli Stati Uniti, almeno per ora e almeno per Apple, il caso elusione fiscale è archiviato, in attesa che la commissione senatoriale esamini la deposizione di Tim Cook, non altrettanto si può dire che accada in Irlanda. Nel paese dell’arcipelago britannico, suo malgrado al centro del dibattito per avere offerto a Cupertino la sponda per collocare in un porto sicuro e privo di tasse circa 75 miliardi di dollari, si è infatti acceso un forte dibattito politico interno che ora corre il rischio di diventare anche una questione pan europea.

Secondo quanto riferisce Reuters, la questione è finita sul tavolo del consiglio dei ministri dove il titolare del dicastero delle finanze, Michael Noonan, è stato costretto a difendere la legislazione in vigore da anni dagli attacchi di alcuni suoi colleghi. «Non vogliamo e non possiamo essere i capri espiatori di un sistema fallato – ha detto Nooan -; quello che Apple ha fatto è stato trovare un buco nella legislazione tra due differenti giurisdizioni fiscali e infilarsi in esso». A chi ha replicato dicendo che evidentemente Apple ha fatto qualche magia per arrivare a non pagare tasse sul denaro che ha guadagnato con le sue tre entità incorporate in Irlanda, Nooan ha detto «che forse ci sarà un mago, ma non sta a Cork. Non essendo residente fiscalmente in Irlanda, Apple non paga tasse irlandesi»

Il paese europeo, però, come abbiamo evidenziato nei giorni scorsi, è parte del’Unione che le ha assegnato aiuti consistenti per uscire dalla crisi del debito da cui è afflitta al pari di Portogallo, Grecia, Spagna e Italia; a sua volta l’Irlanda ha caricato sulle spalle dei suoi cittadini nuove tasse ed imposte per fare fronte al bisogno della macchina statate, il che potrebbe essere considerato in contraddizione con un sistema fiscale nato per favorire l’impiego attraendo imprese che altrimenti sarebbero andate altrove, ma che finisce sia per favorire l’elusione, specie nei confronti del governo USA, sia per alzare la competizione con altre nazioni dellUE per effetto di una imposta del 12,5% sul reddito d’impresa. La Francia in particolare sarebbe indisponibile a tollerare un sistema che sottrae risorse ad altri paesi e nello stesso tempo le toglie anche al sistema fiscale irlandese favorendo i profitti delle multinazionali, questo mentre l’Unione ha dovuto mettere in atto manovre di salvataggio per impedire il crack finanziario di Dublino.

Ma oltre all’Europa la cui pressione potrebbe alzarsi a breve, in Irlanda si temono  le mosse del governo statunitense. Gli USA non hanno strumenti per obbligare il paese europeo a modificare la sua normativa fiscale, ma è nella possibilità dgli Stati Uniti chiudere i buchi usati non solo da Apple ma anche da Google, Microsoft, Pfizer e tantissime multinazionali che usano l’Irlanda per operazioni simili a quelle messe in atto da Cupertino. Un passo di Washington nella direzione giusta per il fisco americano, sarebbe un passo verso il baratro per l’Irlanda che nel corso degli ultimi 25  anni ha costruito intorno a questo assetto una buona parte della sua offerta d’impiego. Secondo Reuters 150mila posti di lavoro su due milioni, il 7,5% dell’impiego, dipende dagli investimenti di aziende approdate sulle rive dell’Irlanda in cerca di un modo per pagare meno tasse. «Se il Congresso decidesse di farlo – sostiene John Fitzgerald dell’Economic and Social Research Instituto, un think tank irlandese – potrebbe spazzare via questi posti di lavoro in un lampo. Quello che l’Irlanda non può fare è provocare, superando i limiti»

Il viaggio sul filo del rasoio dell’Irlanda e la necessità di trovare una via d’usciata, è testimoniato dalle parole del ministro del lavoro, imprese ed occupazione, Richard Bruton, che ammette: «le aziende mettono in competizione i codici fiscali delle varie nazioni, penso che quel che dobbiamo fare è collaborare a livello internazionale anche attraverso l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico per affrontare la natura aggressiva di questo sistema». Molto caute eanche le parole del primo ministro Enda Kenney che mentre si recava ad un incontro del’Unione sull’elusione fiscale è addirittura arrivata a dire che «Dublino vuol giungere ad un accordo su un nuovo regime fiscale per le multinazionali».

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