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Chi ha paura della pirateria musicale?

Riceviamo dal nostro lettore Chest e pubblichiamo volentieri:

La notizia è interessantissima: sarebbe facile, non solo possibile, craccare le canzoni di Napster. Su questo non c’erano dubbi (più sotto per le motivazioni della sentenza), ma forse è bene chiarire qualche aspetto ai lettori di Macity che non si occupano di “DRM”.

Un DRM è un sistema di protezione dei contenuti digitali (D=Digital R=Rights M=Management, Gestione dei Diritti Digitali), cioè un qualche astruso (devono essere astrusi, è il loro lavoro) sistema per cui tu (“tu” definito come “carta di credito” o come “firma digitale riconosciuta”, per esempio dalla pubblica amministrazione) compri un file, mettiamo pippo.aac o pippo.wmv e, incredibile, il maledetto file funziona solo sul tuo PC o solo sul tuo iPod o insomma solo su qualche diabolico dispositivo riconosciuto a sua volta da qualche mefistofelico software. Già , avete capito bene: se date a qualcun’altro il file protetto questo, semplicemente, non potrà  funzionare.

I DRM, che fino a qualche anno fa erano solo fantasie perverse degli amministratori di sistema, si stanno rapidamente diffondendo, specie per la musica. Bisogna ammettere che ad occhi esperti di tecnologia suscitano ammirazione, perchè non è per nulla facile implementare dei DRM che siano un minimo usabili da gente non esperta (tutti sanno che PGP è un sistema eccellente per crittografare la posta; ma quanti lo usano?).

In realtà  ogni DRM ha, ad oggi, un limite intrinseco: non riesce a capire se il file che lui sta proteggendo sta per essere riprodotto o masterizzato su un dispositivo reale o su un dispositivo virtuale. Immaginate ad esempio un “masterizzatore virtuale” (chi usa Virtual PC non farà  fatica a capire di cosa parlo). E immaginate di masterizzare le canzoni comprate sull’Apple Store con questo masterizzatore virtuale, producendo, ovviamente, non un CD fisico ma un “Virtual CD”, cioè una collezione di files “wav” (il formato, notoriamente non protetto dal alcun DRM, dei CD musicali).

Come noto, questo non infrange (almeno, non al 100%; credo che con un buon avvocato la cosa si dimostri), l’accordo di licenza con Apple, che consente la masterizzazione delle canzoni acquistate.

Ma, parimenti, ottiene il risultato di infrangere il DRM, trasformando un file digitale protetto “pippo.aac” in un file digitale NON protetto “pippo.wav”.

E neppure si può “sperare” (mettendosi dal punto di vista di chi produce i DRM) che in questa conversione ci sia perdità  di qualità . Non c’è proprio alcuna perdita di qualità : il file sprotetto è di qualità  identica a quello protetto.

Ora, se è tanto facile craccare i files DRM perchè finora le major musicali non si sono arrabbiate?

Semplice, perchè comunque l’acquisto dei files protetti da DRM aveva costi analoghi a quello dell’acquisto dei CD musicali, per esempio i famosi .99euro su Apple Store. Per cui il ragionamento è: se proprio ci tieni a piratare i files almeno spendi come se tu comprassi un CD.

Ragionamento ineccepibile, realistico, onesto, ed alla base del successo di Apple Store finora.

Ma oggi scopriamo che una cosa analoga la si può fare con Napster, cioè con un sistema ad abbonamento, che con 15$ al mese ti consente di scaricare TUTTE le canzoni del suo archivio, fossero pure migliaia.

E’ perciò di facile comprensione che spendendo 15$ un ragazzino potrebbe scaricarsi tutto Napster, craccarlo coi masterizzatori virtuali e sentire le canzoni a vita, senza rinnovare alcun abbonamento, il tutto probabilmente senza neppure infrangere la legge.

Sicuramente in un ecosistema normale ciò dovrebbe provocare la immediata chiusura di Napster, ma nel distortissimo mondo-ecosistema dell’IT, invece, è persino possibile che tutto questo sia fenomenale pubblicità  gratuita, preludio di molti più accessi e di molti più abbonamenti. E siccome da qualche anno ad essere maliziosi ci si azzecca, c’è da pensare che le (eventuali) spese legali (che ricadranno su Napster o su Microsoft Microsoft, il cui sistema DRM è stato violato), saranno in realtà  pagate col sorriso sulle labbra, certi che, proprio come negli anni ’80, la pirateria può essere stimolata, se si vuole che i proprio prodotti diventino popolari. Tanto una volta raggiunto il monopolio il sistema per far pagare tutti e rientrare delle spese (con gli interessi) si trova, vedasi ad esempio la odierna crescente diffusione dei sistemi di registrazione di Office e Windows, che stanno rendendo sempre più difficile procurarsi copie illegali dell’uno o dell’altro. Ma oggi, diciamo il vero, chi può rinunciare all’uno e all’altro? E quindi il borsellino lo apre anche chi fino a pochi mesi fa si vantava che avrebbe trovato copie pirata di qualunque cosa (naturalmente solo per dimostrare le proprie capacità , giammai per usarli).

Si capisce che Steve Jobs è furente: il sistema DRM di Apple, chiamato “Fairplay” ha solo da perdere dalla proliferazione di sistemi tipo quello di NApster, in cui, come dice il loro spot “Do the math”: cioè spendi 15 dollari e procurati tutte le canzoni che vuoi.

In un paese come il nostro ossessionato dal mito della pirateria digitale, la lezione di Micorosoft dovrebbe insegnare che è inutile sprecare il fuoco delle Fiamme Gialle per il mondo IT: quando occorre bruciare la pirateria i big dell’IT ci riescono benissimo da soli. Se vogliono.

Ah, per finire: se dunque questi masterizzatori virtuali sono capaci di craccare qualunque DRM, come faranno, le major in futuro? Semplice: le periferiche hardware avranno a bordo dei chip di firma digitale che il sistema operativo provvederà  a controllare su dei server web prima di consentire l’attivazione della periferica stessa. In pratica riusciranno a separare una volta per tutte l’hardware con natura fisica da quello senza natura fisica (do you remember Palladium?). E quale è la software house che sta promuovendo la firma digitale dei dispositivi hardware?

Microsoft, naturalmente.

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