Una strana coppia, senza dubbio. Estremamente potente e affiatata. Parliamo di Laurene Powell Jobs, vedova di Steve, e Jony Ive, il principe del design e “gemello spirituale” di Jobs, come lo definì quest’ultimo. Una strana coppia legata non solo da una amicizia ventennale ma anche da una partnership economica: Powell ha investito nell’azienda creata da Ive dopo aver lasciato Apple.
Un’azienda che sta facendo cose sul futuro dell’intelligenza artificiale con Sam Altman, come abbiamo scritto. Per la prima volta i due, Powell e Ive, parlano assieme a un giornalista del Financial Times di qualcosa che li tocca da vicino: la disillusione della tecnologia attuale e il desiderio di fare qualcosa di meglio con l’opportunità futura che l’intelligenza artificiale sta offrendo.
È una strana intervista, che vale la pena raccontare perchè mette una piccola bandierina, forse non tanto piccola, nell’evoluzione della storia tecnologica. Pone delle domande, afferma un punto di vista, un rimorso che non vuole trasformarsi in rimorso.
Vuole invece fare qualcosa, che potrebbe rimediare oltre a portare avanti la fiaccola dell’innovazione. Vale la pena capire cosa sta succedendo, insomma, anche se siamo nel regno delle idee e delle dichiarazioni e non della presentazione di un prodotto o nel disvelamento di una tecnologia e della strategia per la sua commercializzazione.

Una amicizia ventennale
Nella parete dell’ufficio di Jony Ive campeggia ancora il modello dell’iMac del 1997, quello che teneva in mano quando incontrò per la prima volta Laurene Powell Jobs davanti alla casa che condivideva con il marito Steve. Era appena tornato in Apple dopo un decennio di esilio, e da quell’incontro sarebbe nata una delle collaborazioni più rivoluzionarie della storia della tecnologia.
Oggi, seduti nell’ufficio minimalista di LoveFrom a San Francisco, Ive e Powell Jobs riavvolgono il nastro di una storia che ha cambiato il mondo. Come diceva Freud, citato dal designer britannico, “tutto quello che c’è è lavoro e amore“: una massima che ha guidato il trio in quegli anni febbrili di creatività.
I weekend nella casa di Jobs non erano momenti di relax, ma fucine di innovazione dove prendevano forma iPod, iPhone e tutti quegli oggetti che avrebbero ridefinito il rapporto dell’umanità con la tecnologia. “Spesso ero a casa“, ricorda Ive con nostalgia, mentre Powell Jobs annuisce sorridendo: “Sicuramente nei fine settimana“.
Era lì che nascevano le idee che avrebbero trasformato Apple da azienda in difficoltà a colosso da mille miliardi di dollari. Quando Jobs morì nel 2011, all’età di 56 anni, quella amicizia non si è spezzata ma si è trasformata, diventando la base per nuove collaborazioni creative.
L’ultima di queste collaborazioni ha fatto scalpore: l’acquisizione da parte di OpenAI della startup AI di Ive, io, per la cifra stratosferica di 6,4 miliardi di dollari. L’annuncio è arrivato con un video che mostrava Ive e Sam Altman chiacchierare in un caffè di San Francisco, accompagnato da una foto in bianco e nero dei due che è stata paragonata al celebre scatto di Simon & Garfunkel.
L’accordo renderà Ive miliardario (se non lo era già) e porterà guadagni anche ai suoi partner di LoveFrom, inclusa Powell Jobs che aveva investito nel suo “collettivo creativo”. “Se non fosse stato per Laurene“, dice Ive, “non esisterebbe LoveFrom“.
Il disincanto della Silicon Valley
Ma dietro il successo finanziario si nasconde una profonda disillusione per come è evoluta la Silicon Valley. “Quando mi sono trasferito qui nel 1992“, dice Ive, “sono venuto perché la Silicon Valley era caratterizzata da persone che vedevano genuinamente il loro scopo nel servizio all’umanità, per ispirare e aiutare le persone a creare“.
Oggi quel posto non esiste più, sostituito da una corsa al profitto che ha perso di vista l’obiettivo originario. Powell Jobs condivide questa amarezza: “Trentacinque anni fa eravamo ancora nell’era dei semiconduttori, c’era la promessa di rendere personale quello che era disponibile solo all’industria“. Apple aveva giocato un ruolo chiave in quella democratizzazione della tecnologia, creando computer belli e potenti per i consumatori.
Negli ultimi anni, però, il ruolo delle Big Tech nelle vite quotidiane è finito sotto una lente di ingrandimento sempre più critica. “Sappiamo inequivocabilmente che ci sono usi oscuri di certe tecnologie“, ammette Powell Jobs con franchezza. Gli studi sulle ragazze adolescenti e sull’ansia dei giovani, l’aumento dei bisogni di salute mentale: tutti segnali che qualcosa è andato storto.
“Certamente la tecnologia non è stata progettata per avere quel risultato, ma quello è il risultato laterale che abbiamo ottenuto“, riflette con amarezza. Ive non si sottrae alle proprie responsabilità: “Mentre alcune delle conseguenze meno positive erano involontarie, sento comunque ancora la responsabilità“.
Il dispositivo misterioso che stanno sviluppando con OpenAI rappresenta la loro risposta a questo malessere tecnologico. Pur evitando di rivelare dettagli (si specula su un device senza schermo), Ive lascia trasparire la filosofia che lo guida: “Molti di noi direbbero di avere un rapporto difficile con la tecnologia in questo momento“. L’obiettivo è ambizioso quanto necessario: “Un senso che meritiamo di meglio, l’umanità merita di meglio“. La collaborazione con Altman e OpenAI ha ridato a Ive quell’ottimismo nella tecnologia che sembrava perduto per sempre.

L’impegno oltre la tecnologia
Powell Jobs, il cui patrimonio è stimato in 11,4 miliardi di dollari, non si limita agli investimenti tecnologici ma porta avanti battaglie che vanno ben oltre il profitto. Attraverso Emerson Collective, fondato nel 2011, “investe in imprenditori e innovatori guidati da uno scopo e da un senso di possibilità“. La libertà di stampa e il giornalismo indipendente sono tra le cause che ha sposato con più passione.
“La libertà di stampa è protetta dal Primo Emendamento, e finché non verrà cambiato, ci crederò“, dichiara con fermezza. Quando The Atlantic, di sua proprietà, ha pubblicato il famoso scoop “Signalgate” (un membro dell’amministrazione Trump aveva aggiunto per errore il direttore Jeffrey Goldberg a una chat su Signal riguardo un attacco in Yemen), Powell Jobs ha difeso l’indipendenza editoriale nonostante le ire presidenziali.
Un’altra delle sue passioni è la riforma dell’immigrazione, in particolare per i cosiddetti “Dreamers”: oltre un milione di persone portate illegalmente in America da bambini. “Sono l’essenza dell’America“, dice Powell Jobs, “sono enormi contributori alla società e all’economia“. Eppure ora sono a rischio, mentre l’amministrazione Trump prende di mira i lavoratori senza documenti. “Penso che sarebbe una grave ingiustizia” se venissero colpiti anche i Dreamers, aggiunge. La sua è una voce che conta, soprattutto dopo il lungo sostegno all’ex vicepresidente Kamala Harris.
Entrambi hanno scelto di rimanere a San Francisco anche dopo la pandemia, quando molti hanno abbandonato la città. Powell Jobs ha fatto parte del gruppo no-profit che ha salvato dal fallimento il San Francisco Art Institute, compresi i suoi preziosi murali di Diego Rivera. “Assicureremo che rimanga accessibile al pubblico“, promette con determinazione. Ive, cittadino americano da più di un decennio ma nato a Chingford nell’Inghilterra sud-orientale, sente di dovere qualcosa alla città che lo ha accolto trent’anni fa: “Ho beneficiato e ho imparato così tanto dall’essere abbastanza fortunato da vivere qui“.

Il futuro dell’intelligenza artificiale
L’era che si sta aprendo è quella che Powell Jobs definisce “la grande incognita”. L’intelligenza artificiale “trasformerà come viviamo, lavoriamo, ci relazioniamo, comunichiamo“, ma “non è chiaro in che direzione si sta dirigendo il mondo“. Se il dispositivo io-OpenAI avrà anche solo una frazione dell’impatto dell’iPhone, potrebbe giocare un ruolo determinante nel plasmare l’evoluzione dell’era AI.
Powell Jobs racconta di aver assistito “in tempo reale a come le idee passano da un pensiero ad alcune parole, ad alcuni disegni, ad alcune storie, e poi ai prototipi“. È “una cosa meravigliosa da vedere“, aggiunge con l’entusiasmo di chi assiste alla nascita di qualcosa di rivoluzionario. Il nuovo dispositivo non dovrebbe competere direttamente con Apple, almeno secondo Powell Jobs: “Sono ancora molto vicina al team di leadership di Apple, sono brave persone e voglio che abbiano successo anche loro“.
Questa dichiarazione rivela quanto sia delicato l’equilibrio tra innovazione e lealtà in un mondo tecnologico sempre più frammentato. Diciamocelo chiaramente: la sfida non è solo tecnica ma anche etica: come creare dispositivi AI che migliorino davvero la vita delle persone senza cadere negli stessi errori del passato. Il tempo dirà se Ive e Powell Jobs riusciranno nella loro missione di ridare un’anima umana alla tecnologia.
Alla fine dell’intervista, che abbiamo ripercorso e che segue il passo di una conversazione, arriva Charlie, il figlio di Ive che lavora in LoveFrom, a salutare. È un momento che rivela l’intimità di un rapporto costruito nel tempo, al di là del business e delle cifre stratosferiche. “È divertente“, riflette Ive, “invecchiando, per me conta chi, non cosa. Le pochissime relazioni preziose diventano sempre più preziose, vero?“. In un mondo dominato dalle macchine, forse è proprio questo il messaggio più importante: alla fine, sono sempre i rapporti umani a fare la differenza.
È certamente facile dirlo da San Francisco, seduti sul trono di una abbondanza certamente conquistata ma pur sempre abbondanza. Criticando la grande piattaforma che in parte si è contribuito a creare. Tuttavia, decidere di voler fare qualcosa, seguendo i propri principi, è un passo enorme e assolutamente non scontato.
A generare perplessità, casomai, non è tanto il “matrimonio d’affari” tra Powell Jobs e Ive, quanto quello con Sam Altman, che ha mostrato di avere obiettivi e priorità piuttosto aggressivi. Tuttavia, anche qui la storia giudicherà in che direzione va questa soluzione. Intanto, l’intervista a due a Powell Jobs e Ive mostra chiaramente una cosa: c’è un’intenzione diversa dietro a un passaggio potenzialmente fondamentale dell’evoluzione della tecnologia e della società nel suo insieme. Vedremo.
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