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P4P, la nuova frontiera del Peer To Peer (o P2P)

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Secondo Wikipedia in edizione inglese, P4P è l’acronimo di “Proactive network Provider Participation for P2P (i.e. P4P)”. Cioè un rete che gestisce in maniera proattiva la partecipazione alle reti P2P, cioè le reti sulle quali si scambiano dati tra utenti “alla pari” e non in maniera centralizzata attraverso una architettura server-client.

Il P2P è una delle più radicali rivoluzioni portate da Internet, dato che consente direttamente agli utenti di scambiare a costi bassissimi i materiali senza bisogno di un costoso (e individuabile) “centro” che fornisca il servizio. In pratica, il paradiso di chi ama vivere pericolosamente al di là  delle leggi sulla tutela del diritto d’autore e della proprietà  intellettuale. Ma.

C’è un ma, infatti. Questi sistemi, che generano la stragrande maggioranza del traffico su Internet – si parla del 70-80% del totale dei pacchetti scambiati in rete – sono in effetti la bestia nera dei fornitori di accesso. Ad esempio, Comcast, uno dei più grandi negli Usa, ha cercato in tutti i modi di filtrare i pacchetti del Tcp/Ip per evitare che si ingolfassero le sue reti. Non solo per un motivo di opportunità  legale, come potrebbe sembrare soprattutto se si seguono i tentativi sempre più reazionari di Riaa e associati di “spezzare le reni” al download illegale a suon di cause. C’è anche la preoccupazione, per altri versi discutibile, che il sovraccarico di uso delle reti che forniscono la connettività  agli utenti “tosti” che lasciano computer a scaricare Terabyte e Terabyte di dati abbia un costo tangibile. Il mondo, dicono gli ISP, sarebbe molto più bello se la gente guardasse la mail, navigasse (poco) e scaricasse più servizi a valore aggiunto (tipo la web tv offerta dai singoli provider in modalità  wallet garden).

Non parliamo poi dell’evoluzione delle reti cellulari per i dati: arrivano le tariffe flat ma arrivano anche le limitazioni. Certo, sarebbe comodo tagliare il cordone ombelicale in rame con la telco locale e potersi dedicare esclusivamente ai nuovi marchingegni senza fili ad alta velocità  figli dell’Umts (e vedete le pubblicità  con i 7,2 Mbps teorici sugli autobus e nei giornali?). Peccato che ci siano i limiti di gigabyte e soprattutto di tipo di pacchetti in agguato. Se si usa il P2P anche solo per avere l’ultimo aggiornamento della propria distribuzione di Linux (i difensori del P2P citano sempre questa come linea di difesa, peraltro minoritaria perché non risulta che ci siano milioni di appassionati che scaricano quotidianamente Terabyte di Debian e Ubuntu) la telco mobile ti butta fuori dal servizio, ti scherma e magari, se può, ti fa fare anche una bella visitina dalla Guardia di Finanza.

Uno dei problemi è la pervasività  dell’architettura P2P che non conosce limiti e ostacoli soprattutto nello sfruttamento della banda: prende e dà  con libertà , soprattutto se percepisce che si può (come sanno ad esempio gli utenti di Fastweb in fibra, che garantisce simmetria tra il download e l’upload con risultati entusiasmanti per chi si approvvigiona da uno dei suddetti utenti). Per rendere il P2P un “migliore cittadino” della rete e dare in qualche misura un ordine alla cosa, ecco che spunta fuori questo nuovo acronimo – P4P – che promette in buona sostanza di rendere più “sensibile all’area” . Come dire: inutile scaricare da uno che sta negli Usa se noi siamo a Posillipo: magari lo stesso file che cerchiamo via software P2P è disponibile anche da un utente sulla Circumvesuviana. Perché non ottimizzare allora la banda, evitando così di saturare un centinaio di router che devono reindirizzare tonnellate e tonnellate dei nostri “stupidi bit”?

L’Hybrid P2P parte dal presupposto che si possa creare una infrastruttura software più intelligente di quella caratterizzata sinora dai nostri sistemi “alla pari”. Wikipedia è sufficientemente entusiasta dell’idea (o almeno lo è chi si è preoccupato di scrivere la relativa voce) da fornire il link diretto alle email di Laird Popkin e Doug Pasko (i fondatori dell’iniziativa) per avere migliori informazioni su come funzioni la cosa e consentire ai due fortunelli di costruire con più agio il loro piccolo business in rete. Zdnet fornisce invece uno schema del funzionamento della rete P4P, mentre infine ArsTechnica lo ha testato ed è giunta alla conclusione che si tratti di un sistema più efficace, soprattutto quando ad utilizzarlo è per l’appunto una Telco desiderosa di risparmiare.

Per quanto riguarda l’anonimato, o privacy, e la possibilità  di far passare attraverso la rete i contenuti che più aggradano gli utenti e non i provider, è tutto un altro discorso. Anche se l’idea che migliorare il P2P in senso tecnico anziché impedirlo è almeno un buon punto di partenza rispetto a quello tutto giocato nelle aule di tribunale della Riaa…

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