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Il grande piano di Meta per dominare il mondo con Threads

Meta ha tre social all’attivo e si prepara a lanciare il quarto. I primi due li conosciamo bene: sono Facebook (il social dei social) e Instagram. Il terzo è WhatsApp, che passa per una app di messaggistica ma in realtà è molto di più: serve per tenere assieme in modi diversi, con “meccaniche diverse”, come ha detto una volta Mark Zuckerberg (ci torniamo tra un attimo).

Il quarto, che Meta e Zuckerberg si preparano a finire di lanciare a livello planetario, è Threads, che adesso è disponibile anche in Europa e Italia come abbiamo scritto qui. L’orditura che tesse i fili (thread) delle conversazioni, rimettendo in fila frasi e risposte e commenti e valutazioni e apprezzamenti e repost.

Una metafora diversa da quella dei cinguettii che si rimbalzano di ramo in ramo usata da Twitter, oggi X, ma che sostanzialmente fa la stessa cosa. È il social dei fili, anziché dei pigolii, ma comunque non cambia niente.

Threads, il rivale di X Twitter disponibile in Italia

Cosa ci sarà dopo Thread?

Il quarto social di Meta non sarà l’ultimo perché, anche se ancora non abbiamo idea di come sarà fatto (probabilmente neanche Zuckerberg) deve ancora arrivare il social dei social, quello nel metaverso. Cioè quello dove si vive una “seconda vita” stando in “presenza aumentata” con altre persone. Un mondo diverso, in cui la rappresentazione digitale della realtà diventa pervasiva.

Tuttavia, la notizia del giorno è l’arrivo in Europa di Threads, che era già decollato abbastanza bene negli Usa e che in Europa si era fermato sulla soglia a causa dei problemi di adempimento alla GDPR, a partire dal fatto che, nella versione originale, per l’utente non era possibile separare dall’identità di Instagram (di cui Thread è una gemmazione).

Questo voleva dire che per uscire per sempre da Thread sarebbe stato necessario uscire per sempre anche da Instagram, rendendo di fatto i due social una cosa sola (un po’ come Facebook e i suoi messaggi). Una cosa vietata dal punto di vista della competizione, del trattamento dei dati e anche del senso comune.

Ma qual è la realtà più profonda che viene portata dall’arrivo di Thread sul mercato europeo? C’è almeno una cosa che vale la pena sottolineare, perché spiega molto bene qual è il ruolo che questo servizio ha assunto sul mercato e la capacità di resilienza dell’azienda che c’è dietro.

La capacità di reagire

È un racconto che risale a un po’ di anni fa. Al 2007, per la precisione. Quando Steve Jobs lanciò il “suo” iPhone, rivoluzionando per sempre il mondo della telefonia mobile e creando di fatto un nuovo mercato, fatto di app mobili. Il primo anno semplici minisiti web basate su JavaScript, poi vere e proprie app con tanto di store, per innovare anche il modello di distribuzione e prezzo, oltre che di sviluppo.

La reazione all’iPhone fu di due tipi. Da un lato ci sono Nokia e Blackberry (che all’epoca si chiamava ancora RIM, Research In Motion). Entrambe leader nel loro settore, entrambe negarono l’evidenza e cercarono di passare quello che secondo loro era solo un colpo di comunicazione senza sostanza tecnologica. Oggi sono solo un ricordo. Nel caso dei loro azionisti, un pessimo ricordo.

Dall’altro ci sono aziende come Google e quella che all’epoca si chiamava Facebook. Google aveva creato Android da pochissimo, era un sistema operativo tradizionale, basato su Linux, con poche ambizioni, che andava a competere più che altro nel mercato dei telefoni con tastiera tipo BlackBerry.

In una accelerazione rapidissima interna a Google Android venne rivoluzionato, gli fu appiccicata sopra una interfaccia solo touch stile iPhone (tenuta insieme con lo spago e più di quindici anni dopo ancora ne paga le conseguenze) e andò sul mercato accompagnata da aziende come Samsung per clonare tutto quello che faceva Apple, con risultati economico notevolissimi.

Si chiama Proxy Innovation, l’innovazione fatta da un altro e incorporata rapidamente nei propri processi produttivi: più che un omaggio è un modo per esternalizzare la ricerca e sviluppo oltre che i rischi ad esse connessi.

Facebook invece fece una cosa completamente diversa. Zuckerberg capì rapidamente che il suo social, Facebook, che era disponibile solo via browser e solo su personal computer, non doveva solo fare una versione HTML compatibile con i dispositivi da tasca, ma saltare il fossato e diventare una app prevalentemente per smartphone.

Fu uno dei primi a farlo, fu rapidissimo e la sua intuizione, sulla quale scommise l’azienda, lo rese il re del mercato. Per coraggio e capacità di innovare Zuckerberg non è secondo a nessuno e non a caso volle Steve Jobs come uno dei suoi mentori, con lunghe passeggiate serali per le strade di Palo Alto con il maestro quando Facebook era di successo ma non era ancora maturo.

samsung contro apple iphone Galaxy

 

Cosa succede oggi con Threads

Zuckerberg sostiene che ci sono solo un numero limitato di “meccaniche” dei social. E che quando viene sviluppata una meccanica e si associa a un determinato social, quella strada poi è sostanzialmente chiusa.

Elon Musk, comprando Twitter forse per errore e decidendo di destrutturarlo sino al punto di cambiare nome (e quindi marchio) con il passaggio a X, oltre a comportarsi come un narcisista sociopatico e a licenziare il 90% dei dipendenti, ha sostanzialmente abbattuto uno dei bastioni che difendono il cuore pulsante della sua azienda. La ricetta segreta, il suo più intimo e recondito interno.

E ha reso non più centrale la “meccanica social” proprietaria di Twitter, che sino a questo momento gli apparteneva e rendeva l’uso del social unico: brevi messaggi annidati, link, stormi di frammenti di informazioni, frammenti di rose olografiche che sommandosi creano universi informativi cangianti e sempre diversi.

Così destrutturando, però, Musk ha anche lasciato lo spazio ad altri per occupare questo tipo di meccanica. E l’occupazione è diventata subito la priorità di una prima ondata di migranti di Twitter. Mastodon e varie altre piattaforme hanno visto arrivare esuli che prima sembravano dipendere per sempre dal loro spacciatore di cinguettii.

Questa migrazione, un fatto unico da osservare con attenzione perché è rarissimo che avvenga nel mondo sempre più blindato delle grandi piattaforme, sta ancora continuando sostanzialmente perché la risposta offerta dal mercato (Mastodon e gli altri) non è stata sufficiente a soddisfare la gran parte degli utenti in cerca di un alternativa. Così forte era la capacità di Twitter di tenere assieme un intero popolo trasversale: teniamone conto per capire quanto è stato duro il lavoro di destrutturazione fatto da Elon Musk.

È iniziata l'era X di Twitter

La mossa di Mark

Zuckerberg lo ha intuito e con un atteggiamento fortemente predatorio ha deciso di riempire quel vuoto. Da buon ideatore di meccaniche ha capito quali erano le cose fondamentali per tenere assieme gli amanti dei tweet, che adesso diventano amanti dei thread, e cosa invece faceva parte del materiale sotto copyright che non poteva essere copiato. Ha fatto un buon lavoro di scelta, ha trovato un’altra metafora fortemente derivativa, e ha messo assieme qualcosa che poteva funzionare.

Dopodiché, ha fatto la scelta giusta: ha giocato la carta più corretta per rendere palatabile Threads al pubblico di esodi di X. Anziché vincolarlo a un account Facebook, che storicamente non è amato da chi usa Twitter, oppure al numero di telefonino (come fa invece WhatsApp, già fortemente in competizione con Telegram) ha deciso di seguire la strada di Instagram, addirittura fondendo i due mondi.

Questa mossa è intelligente per molti motivi: Instagram è povero dal punto di vista della gestione dei commenti, è invece molto popolato dal punto di vista di persone che lo “toccano” tutti i giorni, e si sta trasformando (come fa anche Youtube) per competere con TikTok e altri contenitori simili di brevi video.

Agganciare Thread a Instagram non disturba e non si sovrappone ma anzi aggiunge possibilità. Inoltre, Instagram è una base alternativa a quella di Facebook (intesa come app) per schedare il mondo e creare una identità digitale unica. Cosa che poi è l’obiettivo di tutti, da Microsoft a Google passando per Apple, X, TikTok e chiunque altro abbia associato un nome utente alle persone e poi cerchi di renderlo universale.

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Il monopolio delle identità digitali

Qui il grande nemico da superare è l’email, che è già la identità digitale più diffusa al mondo. Ma l’indirizzo di posta elettronica troppo volatile, e pieno di alternative, oltre che poco sicuro. Serve un altro modo per dare un nome e cognome digitale alla gente nel mondo. La posta in gioco è altissima, perché chi ci riesce sostanzialmente vince tutto. Twitter c’era andato molto vicino con la formula @nome-della-persona, Mastodon ha fallito miseramente, adesso ci prova di nuovo Thread e probabilmente ci riuscirà.

Questo accadrà sia grazie alla spinta iniziale della base dati di Instagram (perché chi entra dentro Thread si porta dietro la rubrica telefonica che ha già ceduto a Instagram e quindi non solo la rete dei suoi amici per non essere solo, ma un frammento del grafo del pianeta) sia grazie alla natura inerentemente conversativa del “social” dei fili, ma non con una immagine compromessa come quella di Facebook (la app)

Non dimentichiamoci infatti che Facebook è finita nel mezzo di una serie di scandali più o meno grandi per la capacità che ha di manipolare l’opinione pubblica anche, ad esempio, in sede politica di voto oppure per temi importanti e drammatici come l’emergenza della pandemia piuttosto che i conflitti religiosi, il terrorismo, gli abusi e le violenze, il bullismo.

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Threads ce la farà

La domanda che viene fatta agli analisti e anche a molti giornalisti, e che spesso gli opinionisti si sentono in dovere di esprimere anche se non stimolati, è semplice. Mark Zuckerberg riuscirà con Threads a vincere tutto?

La risposta è semplice: no. Sia perché ha già vinto, nel senso che Threads è già diventato l’alternativa a Twitter prima ancora di arrivare in Europa e nei prossimi giorni si vedrà una epocale migrazione da Twitter al nuovo social dei fili. Sia perché quel che sta facendo non basta senza contare che su Threads pende sempre la spada di Damocle dei vari antitrust nonché della reputazione di Facebook.

Il “sistema social” di Zuckerberg, ripensato in chiave Meta (per avere un nome “pulito”) e metaverso (per scommettere sul futuro non troppo vicino e dargli una forma favorevole all’azienda, che deve eliminare gli intermediari tecnologici tra lei e i suoi utenti), è sempre un sistema segnato dalla cultura dell’azienda e del suo fondatore.

È un sistema avido, predatorio, che utilizza le persone trasformandole da clienti in utenti da tracciare e manipolare emozionalmente. Per questo non vincerà tutto. O almeno, per questo è meglio sperare che non lo faccia.

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