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Un documentario sullo smarrimento di iPhone 4 ci parla di vita, di morte e di Steve Jobs

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Che cosa vi dicono il nome di Jason Chen e di Gray Powell? Probabilmente nulla se avete meno di 40 anni e se siete tra i tanti che sono arrivati al mondo Apple sulla scia dei grandi successi di iPhone 6 e soprattutto iPhone X. Ma a molti, come chi scrive su questo sito e dei molti che sono nostri storici lettori, tornerà alla memoria all’incredibile caso dell’iPhone 4 non ancora rilasciato e perduto in un bar prima del lancio e tutti gli altrettanto incredibili sviluppi che ne seguirono.

Si tratta di una delle storie più pazzesche della storia di Apple e del più importante caso di fuga di notizie che ha mai coinvolto Cupertino. Quel che accade in quei giorni memorabili, si era nell’aprile del 2010, viene raccontato in un eccellente documentario di Front Page Tech, il cui titolare è Jon Prosser, noto per essere stato in uno dei leaker più prolifici dei prodotti Apple ma oggi youtuber, autore di alcuni filmati, come questo, particolarmente ben fatti sul mondo della tecnologia.

“Theft, Death, and Steve Jobs”, questo il titolo, con interviste, filmati d’archivio, immagini e brandelli di servizi giornalistici, presenta tutti i retroscena dello smarrimento del telefono, avvenuto in un ristorante dove l’aveva portato e poi dimenticato Gray Powell, uno sviluppatore software di Apple. Il telefono restò nelle mani di un cliente, un certo Bill Hogan, che non avendo esatta coscienza di cosa fosse (era camuffato come un iPhone 3Gs) cercò, così disse, di riconsegnarlo a Cupertino. Dopo alcuni inutili tentativi di restituirlo all’azienda che ne era proprietaria, decise di venderlo al miglior offerente.

Venne acquistato (con una scelta eticamente criticata da molti)  da Gizmodo che scoprì che si trattava di un vero prototipo di iPhone, molto innovativo e molto differente per forma e tecnologie dai precedenti. Iniziò così una copertura giornalistica affidata a Jason Chen un giornalista che lo presentò in tutti i suoi dettagli.

È qui che inizia la parte più importante del documentario che si concentra sulla reazione e le scelte di Apple, tutte scatenate dalle politiche di segretezza per le quali questa viene prima di ogni altra cosa e guidate dalla personalità di Steve Jobs.

L’azienda americana cercò di recuperare il telefono con le buone, passando poi alle cattive. A casa di Jason Chen venne inviata la polizia che forzò le porte del garage, perquisì la casa e sequestrò larga parte della sua attrezzatura.

Una reazione considerata fuori misura e che per altro non portò giudiziariamente a nulla, criticata altrettanto quanto quella di Gizmodo di capitalizzare l’errore di un dipendente (che venne per altro immediatamente licenziato) senza curarsi delle conseguenze che questa scelta avrebbe avuto.

“Theft, Death, and Steve Jobs” parla, insomma, di come un caso che poteva forse essere risolto in maniera più semplice, divenne una vicenda di eco mondiale per l’ossessione di Apple per la segretezza, per la violenta reazione di Steve Jobs e l’atteggiamento poco accondiscendete di Cupertino rispetto ai cosiddetti bloggers, fan e influencers che allora (al contrario delle condizioni privilegiate concesse oggi a questa categoria) considerava dei referenti poco affidabili se non pericolosi.

Il documentario parla anche di come alcune scelte e alcune politiche, privilegiando interessi personali e interessi aziendali (inclusi in questo caso anche quello di Gizmodo), in definitiva mettono in gioco la vita delle persone, coinvolgendole umanamente ed emotivamente fino a portarle addirittura ad estreme conseguenze.

È di questo che il documentario si occupa nel finale quando il documentario racconta la storia di Sun Danyong, un dipendente di Foxconn che si suicidò nel 2009 per l’accusa di avere perso un prototipo di un iPhone parte di un lotto che doveva essere spedito ad Apple.

In questa parte “Theft, Death, and Steve Jobs”  tenta proprio di dimostrare come la pressione, derivante dall’ossessione della segretezza ad ogni costo, trasmessa da Apple a Foxconn e la reazione conseguente dell’azienda cinese sia in sostanza stata alle origini del suicidio di Sun Danyong, interrogato, umiliato e maltrattato per diverse ore da parte dei superiori dell’azienda cinese, preoccupati di poter perdere le commesse del suo più importante cliente.

Nella parte finale del documentario si racconta poi tutto quel che accadde dopo questo suicidio: le indagini, i provvedimenti di Apple, le ispezioni. Quel che è sicuro è che Foxconn mise in opera alcuni provvedimenti di carattere pratico ma anche di supporto psicologico che «hanno salvato molte vite».

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