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35 anni, tristi e sovrappeso: ritratto del gamer d’oggi

La cosa divertente con certe ricerche di mercato è che poi quello che ne viene fuori è assolutamente geniale. Come nel caso di questo lavoro, appartenente al genere letterario del “biasimiamo i videogiochi” (i cui classici indimenticabili vengono scritti dalle associazioni di genitori e dai giornalisti dei grandi quotidiani) e creato dal Center for Disease Control and Prevention di Seattle-Tacoma, cioè dell’area dello stato di Washington dove hanno sede Amazon, Starbucks e Microsoft.

Il campione può sembrare limitato (552 adulti, tra i 19 e i 90 anni) ma in realtà  ben ponderato, dicono gli esperti di controllo e prevenzione. E le risultanze rinfrescano alcuni degli stereotipi più stantii e ammuffiti del settore. 249 degli intervistati, cioè circa il 45%, sono videogiocatori. Gli uomini sono il 56%. E pesano più dei loro amici che invece evidentemente praticano sport all’aria aperta e uno stile di vita salutista, con dieta vegana annessa.

A stupire però sono le donne, il genere emergente nel settore dei videogiochi che, come sa bene Nintendo, possono fare la fortuna di un’azienda quanto se non di più dei bambini. Ebbene, le fanciulle che adorano tenere un joystick in mano sono più tristi, in cattiva salute, portate alla depressione e con uno quadro complessivo che potrebbe essere tranquillamente appeso in clinica (per questo li chiamano “quadri clinici”). Soprattutto se paragonate alle loro amiche che praticano sport all’aria aperta, e uno stile di vita salutista, con dieta vegana e lezioni quotidiane di pilates annesse.

Soprattutto le donne, amano sostenere i ricercatori, con la relativa certezza di guadagnarsi la pubblicazione anche su qualche rivista femminile, sono quelle che colpiscono di più: si immergono ciecamente nel videogioco, dimentiche del mondo circostante, per distrarsi da una vita triste e priva di prospettive. “In sostanza – dicono i ricercatori, che per sicurezza preferiscono tuttavia restare un po’ anonimi – le donne staccano completamente dal mondo circostante con tutte le loro preoccupazioni e problemi, mentre si fanno un videogame”. L’equivalente digitale e femminile della birretta ghiacciata sul portico di casa dopo il lavoro, in pratica.

Ma la vera bomba arriva leggendo tra le pieghe del rapporto: gli adulti che fanno i videogiochi – perché oramai l’età  media è 35 anni – sono quelli che hanno anche Internet piantata in mezzo alla fronte. La rete del diavolo è lo strumento che questi asociali adoperano addirittura per intrattenere alcune delle loro relazioni interpersonali e sociali, ingrassando ulteriormente perché non amano praticare sport all’aria aperta e avere uno stile di vita salutista, con dieta vegana inclusa e lezioni quotidiane di pilates opzionali.

“I videogiocatori – sostiene uno dei ricercatori da dietro un drappo nero e usando uno strumento per distorcere la propria voce e per maggior sicurezza anche quella dell’interlocutore – sacrificano le attività  sociali del “mondo vero” per fare i loro videogiochi”. Queste e altre intelligenti e originali osservazioni verranno pubblicate a breve nel finora autorevole American Journal of Preventive Medicine.

“Come avevamo ipotizzato – scrivono a macchina per non far riconoscere la propria calligrafia i ricercatori – quel che differenzia i videogiocatori adulti dai non videogiocatori sono un peso e una massa corporea maggiore e un minor numero di giorni di cattiva salute mentale”. Nel frattempo, una buona notizia, possiamo tranquillamente ridurre il campo dei candidati al Nobel per la medicina di quest’anno cassando l’unità  che ha lavorato a questo rapporto.

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