C’è una breccia nel cartello delle società che raccolgono i diritti musicali in Europa: l’olandese BUMA e la belga SABAM, hanno infatti annunciato di voler recedere da almeno una parte degli accordi di Santiago, ricusando la parte inerente il diritto di territorialità .
La notizia è di grande interesse e rilievo nel campo della musica digitale. Il trattato rappresenta infatti il perno centrale del sistema con cui vengono licenziati attualmente i permessi per la vendita on linee di musica digitale in Europa e da tempo è nell’occhio del ciclone delle polemiche come principale accusato della lentezza con cui la commercializzazione di canzoni procede in Europa.
A mettere sul banco degli imputati non ci sono solo gli operatori del settore, tra cui Apple, Fnac, Yahoo e molti altri, ma anche la Commissione Europea che accusa le società dei diritti musicali, tra cui anche la nostra SIAE, di usare il trattato come uno strumento anticompetitivo, sostanzialmente contrario alle norme che regolano il mercato comune. Al centro della querelle, che si è spinta al di là della semplice polemica inducendo l’UE ad aprire una inchiesta formale, la cosiddetta ‘clausola di residenza economica’ che obbliga una società intenzionata ad aprire un negozio di musica digitale a rivolgersi all’ente che ha competenza sul territorio nazionale dove ha il proprio domicilio fiscale. Questa regola, sarebbe stata istituita, dicono le associazioni per la tutela de diritti musicali, per aiutare chi opera nel campo della vendita on line ad allestire rapidamente un negozio senza trattare singolarmente con tutte le varie associazioni nazionali, ma per l’UE in realtà si trasforma in una infrazione alle norme che liberalizzano l’impresa in Europa. In pratica chi opera nel campo della musica on line risulta vincolato a creare un business secondo le regole del proprio paese, impedendo la concorrenza e lo sviluppo del mercato. Le prove del fatto che il trattato di Santiago ingessi lo sviluppo della musica on line in Europa sarebbe nelle cifre: il fatturato generato dai negozi come iTunes nel vecchio continente è circa un decimo di quello americano, 27 milioni di euro contro 207 milioni di euro.
Il fatto che la necessità di infrangere la barriera del trattato di Santiago per dare il via ad un vero mercato di musica on line in Europa, fino a ieri avanzata solo da UE e operatoria, sia ora condivisa anche da BUMA e SABAM, rappresenta dunque un fatto nuovo che non solo chiama fuori le due società olandese e belga dall’inchiesta aperta dall’UE, ma lascia intendere che anche all’interno delle società per la raccolta dei diritti comincia a sorgere qualche dubbio sulla sostenibilità (anche legale) delle posizioni mantenute fino ad oggi. La breccia nel cartello, soprattutto, fornisce la speranza che l’esempio di BUMA e SABAM possa essere seguito da altre realtà europee e aumenta la possibilità di successo dei propositi dell’Unione Europea, intenzionata a creare una legge pan-continentale per la concessione dei diritti, sciogliendo i vincoli imposti dalle società nazionali.