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David Pogue crea un conflitto di interessi per il New York Times?

Negli Stati Uniti la vicenda viene presa talmente sul serio che è il responsabile delle questioni etiche interne del Times, Clark Hoyt (il “public editor”), ad occuparsene sul giornale. C’è conflitto di interessi tra i pezzi che il popolare giornalista esperto di tecnologie personali David Pogue scrive per il Times (Pogue è un collaboratore a contratto, non un dipendente del gruppo) e i suoi libri?

In altri termini, quando Pogue recensisce Snow Leopard e ne parla più che bene, cosa succede poi se pubblica un libro della sua popolarissima serie “Missing Manual” che spiega ad usarlo? Non sta in qualche maniera gabbando il lettore, perché parla bene di un prodotto che ha interesse a che venda bene, in modo tale da far aumentare le vendite del suo libro?

Questo tipo di domanda, che potrebbe sembrare arzigogolata e aliena al lettore italiano, in realtà  sta scuotendo gli ambienti del giornalismo anglosassone in questi giorni. Oltre al pezzo del New York Times, vari altri si sono chiesti cosa succeda ad esempio con un’altra superstar del giornalismo tecnologico come Walt Mossberg, che ha praticamente creato un Wall Street Journal nel Wall Street Journal: il suo D – All Things Digital e varie altre iniziative che svolge (libri, conferenze, speech), creano forse altri conflitti di interessi.

Non è il primo caso, anche altri settori hanno questo tipo di problemi: il caso più esemplare è Thomas Friedman, il più popolare giornalista di politica estera del Times, che poi va “all’incasso” facendosi pagare fior di soldi per tenere conferenze (il suo prezzo è di 75mila dollari). Piccoli pagamenti, fino a mille dollari/euro posso costituire anche un ragionevole gettone per un super-professionista, cifre invece con cui ci si può comprare una Porsche sembrano francamente eccessive a molti, soprattutto in tempi di crisi.

La mania di generare delle super star non è nuova al giornalismo né della carta stampata né di televisione e radio. Ma di solito sono gli editori che si preoccupano di pagare profumatamente i loro uomini e donne migliori, perché beniamini del pubblico che portano sempre nuovi spettatori o lettori. Adesso però qualcosa è cambiato.

Per contrastare la crisi e ridurre i costi gli editori utilizzano sempre più spesso figure esterne ai giornali e alle testate giornalistiche. I giornalisti coinvolti sono tenuti a sottoscrivere standard e codici etici di comportamento, ma nonostante questo sono spesso e volentieri dei piccoli imprenditori (neanche tanto piccoli, a volte) che in fin dei conti devono tenere in piedi tanti business paralleli e cercare di far più soldi che possono. Con buona pace dell’etica e della deontologia professionale. Niente di nuovo, sicuramente, ma per certo un fenomeno sempre più endemico, negli USA come all’estero.

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