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Stefano Rodotà «Le backdoor riducono le tutele, favoriscono i regimi totalitari»

Stefano Rodotà è un giurista, politico e accademico italiano, noto per essere stato, tra le altre cose, il primo Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, mentre dal 1998 al 2002 ha presieduto il gruppo di coordinamento dei Garanti per il diritto alla riservatezza dell’Unione europea. È stato inoltre componente del gruppo europeo per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie e presidente della commissione scientifica dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali. È, insomma, certamente una delle persone più qualificate quando si parla di questioni che riguardano la tutela delle informazioni personali e delle sfide che pongono per i diritti civili e le libertà personali nell’era di Internet.

Intervistato da Linkiesta, il giurista ha parlato di varie questioni che riguardano la trasparenza e il controllo dei dati e anche della questione cifratura smartphone dei cellulari. Alla domanda: “È giusto che una casa produttrice di telefonini possa permettersi di non sbloccare un telefonino su richiesta di un governo?”, Rodotà ha risposto: “A fianco di Tim Cook si è schierata l’ACLU – l’associazione per le libertà civili più importante del mondo – e l’Electronic Frontier Foundation. Certo, Apple lo fa per ragioni commerciali, perché vuole far passare il messaggio di vendere anche privacy. Nel momento in cui introduco un software che sblocca, rendo accessibili tutti gli smartphone e quindi non te la vendo più. Però, allo stesso tempo, piegandosi alle richieste del governo si introdurrebbe per ragioni di sicurezza un tale abbassamento di tutela delle persone che i regimi totalitari potranno, a quel punto, esigere che quella soglia sia abbassata”.

Come coniugare le esigenze di sicurezza e riservatezza? “La discussione è: lo sblocco è l’unica maniera per ottenere quelle informazioni?” spiega Rodotà: “Forse ci sono altri strumenti, come il cloud, i metadata, che li possono sostituire almeno in parte. E infine, la libertà delle persone deve essere sempre sacrificata? La sicurezza è un valore che prevale su ogni altro? Abbiamo già sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che dicono che i tempi di conservazione dei dati non possono andare oltre un certo limite, perché c’è un diritto fondamentale delle persone che va anche sopra il diritto alla sicurezza. Emerge la terza parola chiave, dopo libertà e identità: democrazia”.

Sul fatto che il tema della privacy sembra poco importare all’opinione pubblica, Rodotà spiega: “L’opinione pubblica reagisce in modo singolare. In generale, sembra che non ci sia un interesse diretto. Ma nella mia esperienza c’è una certa capacità reattiva, perché quando qualcuno trova che i suoi dati sono utilizzati in modo che lo infastidisce, allora reagisce. Il tema è importante e lo vediamo in molte occasionei”. “Lo vediamo in occasione dell’intervento del garante sull’utilizzo dei dati tributari. Oppure a proposito della riservatezza necessaria sui dati sulla salute, e ancora per quanto riguarda il credito al consumo – i dati possono essere utilizzati per concedere o meno dei prestiti – oppure le informazioni sulla vita privata. Non tutto può essere messo in circolazione”.

Stefano Rodotà

Per quanto riguarda i pericoli di un’eccessiva circolazione dei dati, Rodotà, spiega: “Il tema della riservatezza è legata a quello delle discriminazioni: l’enorme quantità di dati permette, di fatto, di compierle. I dati che si trovano su Facebook su opinioni e comportamenti personali possono far discriminare qualcuno in base ad essi. Di fatto, l’importanza della privacy oggi è tale che ormai si identifica con la libertà delle persone. La libertà è diventata quella di non essere discriminati, non essere schedati, non diventare oggetto di controllo continuo per quanto riguarda il consumo o il lavoro”.

A quelli che affermano ““non ho nulla da nascondere”, Rodotà risponde: “Se trovo le informazioni sulla salute, sulle opinioni, sui comportamenti, possono essere utilizzate in modo da venire discriminato”. “Negli Stati Uniti, e d’altra parte anche in Italia, il datore di lavoro non può accedere alla pagina Facebook di un potenziale dipendente, anche con il suo consenso. Riassumendo: è un luogo comune con una brutta origine e che può avere dei brutti effetti”. E ancora: ” C’è una concentrazione enorme di dati e noi li cediamo continuamente. Questo crea molti problemi, ad esempio riguardo modalità e tempi di conservazione dei dati; oppure chi vi può accedere, quando possono essere cancellati, se ho diritto all’oblio, se posso interrompere la comunicazione…”. “C’è una la legge in Francia: quando vado via dall’ufficio posso disconnettermi e, ad esempio non rispondere alle mail. In questi anni, da una parte c’è stata una certa rassegnazione, dall’altra si è fatta strada l’idea di Zuckerberg che la privacy non ci sia più, e in questo modo tutte le forme tecnologiche che potrebbero tutelare la privacy sono state depresse se non azzerate. In questo momento noi dobbiamo ricostruire i giusti equilibri. Non rinuncerei mai ad andare fuori dall’Italia con quel rettangolino di plastica che è la mia carta di credito, ma so che questa potrà dire dove mi trovavo, quali sono i miei gusti, quali sono le mie abitudini… È un gioco costi-benefici, e devo fare in modo di costruire i miei rapporti in modo che non siano squilibrati”.

Rodotà evidenzia anche il problema dell’Internet delle cose. “Questo caso non è successo in Italia, ma ci dimostra che la realtà a volte è più ricca della fantasia. Un dipendente viene chiamato dal suo datore di lavoro, che gli dice: “Sei licenziato. Non voglio avere una persona che passa il fine settimana ad ubriacarsi e poi la cosa finisce su Internet”. Lui risponde: “Ma io sono astemio”. Il datore di lavoro ribatte che il collegamento Internet del suo frigorifero dice altrimenti, e cioè che ogni fine settimana parte l’ordine per due o tre bottiglie di whisky. Il dipendente dice: “Ma sono i miei amici, che ogni fine settimana vengono a cena da me: loro sono gli amanti del whisky”. Questo esempio ci racconta che il dato bruto, proprio perché aumenta enormemente il numero delle informazioni, deve essere contestualizzato. Mi deve essere data la possibilità di conoscerlo e correggerlo. In altre parole, abbiamo un problema di libertà, e anche un problema di identità”.

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