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Flash SDD da Intel: X25-M da 34 nanometri

Il 2010 verrà  ricordato per due motivi: sarà  l’anno in cui si è combattuta la guerra dell’eBook e sarà  l’anno in cui arriveranno finalmente i dischi allo stato solido per quanto riguarda la vita di tutti i giorni (e non solo dei “bene abbienti”) dei nomadi digitali.

Concentriamoci su questo secondo aspetto e guardiamo a chi sta lavorando da tempo per far partire questo mercato. Manifattura in Cina ma tecnologia e progettazione in America. Si tratta della seconda generazione dei sistemi di memoria (è sbagliato concettualmente chiamarli “dischi”) per computer portatili sviluppati da Intel. Si chiamano X25-M ed hanno come base la tecnologia MLC Flash che consente costi relativamente contenuti, dimensioni contenute e correzione d’errore alla singola cella.

La prima generazione era caratterizzata da una lavorazione del silicio a 50 nanometri. Adesso invece gli stabilimenti Intel hanno fatto partire fonderie da 34 nanometri, cosa che si risolve in un abbattimento deciso dei consumi, una riduzione della dimensione della superficie e del volume occupati, una maggiore affidabilità  man a mano che le tecnologie evolvono.

Il vero punto di forza di questa generazione di apparecchi sta tutto nella capacità  di abbattere drasticamente la frammentazione del disco. L’utilizzo teorico e l’utilizzo pratico nel “mondo vero” infatti hanno parametri solo infinitesimalmente differenti. I dischi, invece, per quanto di sicuro più studiati, sofisticati, complessi e ben realizzati fino ad oggi (densità  per pollice di dati, costo per unità  di dati), hanno il limite di subire in maniera alle volte devastante l’impatto della scrittura o della lettura frammentata, ovvero dello stream di dati in entrata e uscita per le applicazioni in tempo reale.

Rimane la triplice problematica dell’affidabilità  nel lungo periodo per queste generazioni di supporti, del riscaldamento in caso di super-uso e infine della poca disponibilità  di memoria a basso costo. Pagare quasi 400 euro per 80 Gigabyte non è assolutamente una cifra accettabile, anche per un computer portatile.

Soprattutto nei portatili però si avvertono i vantaggi: da un lato la riduzione dei consumi, dall’altro la massima efficienza del computer. Ad esempio, una macchina “critica” come il MacBook Air, per il quale ogni millimetro e grammo di CPU libera è una boccata d’ossigeno in un ambiente altrimenti asfittico, utilizzando un disco allo stato solido a performance medio-alta (come quello fornito da Apple) equivale ad una boccata aria fresca in un ambiente privo di rinfresco.

La nuova versione del driver di Intel riduce radicalmente il numero delle componenti e secondo i tecnici rende molto più vicino, mantenendo lo stesso layout di chip che intanto si stanno “consolidando”, il doppio traguardo dei 160 e poi dei 320 Gigabyte. Per quanto riguarda le due specifiche-chiave in termini di performance, sia la prima che la seconda generazione di driver portatili di Intel di questa classe mantengono i medesimi tempi in termini di lettura e scrittura: rispettivamente 250MB/s e 70MB/s, con latenze di 85µs in lettura e 115µs in scrittura per la prima generazione e di 65µs e 85µs rispettivamente per la seconda generazione in lettura e scrittura (scostamento quasi non apprezzabile).

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