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La grande marcia dell’AI cinese

Cosa vule la Cina? Vincere tutto, ovviamente. Esattamente come gli Stati Uniti e come un tempo voleva la Russia e come hanno sempre voluto le grandi superpotenze della storia, dall’antica Roma sino all’impero spagnolo, Regno Unito e via dicendo. È una volontà di potenza che è in parte dovuta al peso specifico raggiunto da una nazione e dall’altra da una cultura di tipo spirito espansionistico che mira alla conquista di tutto il conquistabile. Un tempo con le armi, oggi con i legami del commercio nell’economia globale. (Anche se purtroppo lo spettro militare è sempre sullo sfondo).

La premessa geopolitica per capire che gli Usa e la Cina si confrontano a “muso duro”, come sempre più spesso accade da quando nel 2001 la Cina è entrata nella Wto, l’organizzazione mondiale per il commercio che le ha aperto la via alla possibilità di scambiare beni in maniera semplice con buona parte del pianeta. È una vera e propria lotta commerciale in cui ci sono alcuni aspetti di guerra (commerciale) vera e propria, con bandi e blocchi. E una situazione, sinora, di forte asimmetria.

La Cina produce moltisismo, ma a detenere il controllo della ricerca e sviluppo oltre che della progettazione e commercializzazione della maggior parte dei prodotti tech in tutti i settori che contano sono gli Stati Uniti. Almeno, fino a questo momento.

Arriva l’intelligenza artificiale

Infatti, l’intelligenza artificiale ha sparigliato in molti modi incluso questo. Ha aperto un nuovo fronte che ha preso in contropiede molti. Lasciamo perdere che OpenAi di Sam Altman ha giocato una partita “furba”, superando da destra la stessa Google che aveva internamente “inventato” l’attuale generazione di sistemi di AI generativa, e che abbiamo visto esplore sia dal punto di vista della qualità dei servizi che soprattutto per il loro valore stimato e l’emozione degli investitori e utenti di tutto il mondo.

Oggi sembra che non si possa più fare niente se non ci si mette dentro la AI e questo è sicuramente il grande successo “storico” di Altman. Che ha disegnato e ipotecato un pezzetto del nostro futuro. Così facendo però ha anche aperto un fianco, che risulta scoperto, nel sistema della competizione e controllo della tecnologia. Infatti, ha lasciato spazio non solo per l’innovazione dirompente negli Usa ma anche verso gli Usa. C’è spazio per altri di conquistare un ruolo primario e centrale nel settore. E la Cina non si sta facendo scappare questa occasione.

Il sorpasso cinese

In un parametro chiave dell’intelligenza artificiale, la Cina sta superando gli Stati Uniti: il talento. Negli ultimi anni la Cina ha prodotto un numero enorme di ingegneri che si occupano di AI di alto livello. Una nuova ricerca dimostra che, secondo alcune metriche, ha già eclissato gli Stati Uniti.

Mettiamola così: quando si tratta dell’intelligenza artificiale che alimenta chatbot come ChatGPT, la Cina è in ritardo rispetto agli Stati Uniti. Ma quando si tratta di produrre gli scienziati che stanno dietro a una nuova generazione di tecnologie “intelligenti”, la Cina è in vantaggio. Notevole vantaggio.

Secondo una ricerca, la Cina ha superato gli Stati Uniti come maggior produttore di talenti dell’AI, con il Paese che genera quasi la metà dei migliori ricercatori di AI del mondo. Secondo lo studio di MacroPolo, un think tank gestito dal Paulson Institute, che promuove legami costruttivi tra Stati Uniti e Cina, circa il 18% dei ricercatori proviene da istituti universitari statunitensi.

I risultati mostrano un balzo in avanti della Cina, che tre anni prima produceva circa un terzo dei migliori talenti del mondo. Gli Stati Uniti, invece, sono rimasti per lo più invariati. La ricerca si basa sul background dei ricercatori i cui articoli sono stati pubblicati alla 2022 Conference on Neural Information Processing Systems. NeurIPS si concentra sui progressi delle reti neurali, che sono alla base dei recenti sviluppi dell’AI generativa. È da là che si vedono emergere e prendere forma i talenti che definiscono il proseguimento della crescita del settore ed è là che la Cina eccelle, con il maggior nuero dei ricercatori.

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Il primo passo di una nuova era

Ciò che accadrà nei prossimi anni potrebbe essere cruciale, in quanto la Cina e gli Stati Uniti si contendono il primato nell’AI. La considerano una tecnologia potenzialmente in grado di aumentare la produttività, rafforzare le industrie e guidare l’innovazione, trasformando le persone che si occupano di studiarla e svilupparla in uno dei gruppi geopoliticamente più importanti al mondo.

La Cina ha coltivato così tanti talenti dell’AI in parte perché ha investito molto nell’educazione in questo settore. Dal 2018, il Paese ha aggiunto più di duemila programmi di AI per laureati, di cui più di 300 nelle università più prestigiose. Secondo la ricerca di MacroPolo, nonostante i programmi non siano fortemente incentrati sulla tecnologia che ha guidato le scoperte di chatbot come ChatGPT, hanno comunque avuto un ruolo fondamentale nell’educare e preparare migliaia e migliaia di futuri ricercatori del settore. E anzi, hanno introdotto molta più “diversità” di quanta non ce ne sia negli Usa.

Il dilemma americano

I talenti cinesi vanno e vengono dagli Usa: il 38% dei ricercatori in America sono infatti cinesi (il 37% americani) e spesso, dopo alcuni anni di lavoro nella Silicon Valley, tornano a lavorare in Cina per aziende locali. Insomma: impara l’arte e mettila da parte.

In passato il governo degli Stati Uniti non era troppo preoccupato per i flussi di ricercatori dell’AI provenienti dalla Cina, in parte perché molti dei più grandi progetti di AI non trattavano dati classificati e in parte perché ritenevano che fosse meglio avere a disposizione le menti migliori. Anche il fatto che gran parte delle ricerche più importanti in materia di AI siano pubblicate apertamente ha a lungo frenato le preoccupazioni. Tuttavia le cose sono cambiate.

Nonostante i divieti introdotti dall’amministrazione Trump che vietano l’ingresso negli Stati Uniti agli studenti di alcune università cinesi legate all’esercito e un relativo rallentamento del flusso di studenti cinesi nel Paese durante la Covid, la ricerca di MacroPolo ha mostrato che un gran numero delle menti più promettenti dell’AI ha continuato a venire negli Stati Uniti per studiare.

La spia intelligente

E le cose sono cambiare recentemente, però, quando un cittadino cinese, ingegnere di Google, è stato accusato di aver cercato di trasferire tecnologia AI (tra cui i progetto di un chip dedicato) a un’azienda di Pechino che lo ha pagato in segreto.

Secondo gli esperti che si occupano di competitività, il numero consistente di ricercatori cinesi di AI che lavorano negli Stati Uniti rappresenta un notevole problema per i responsabili politici, che vogliono contrastare lo spionaggio cinese senza scoraggiare il flusso continuo di ingegneri informatici cinesi di alto livello negli Stati Uniti.

È l’inizio della guerra fredda delle AI.

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