Esiste un momento preciso in cui un imprenditore smette di costruire imperi e inizia a smontarli pezzo per pezzo. Per Jack Dorsey, quel momento è arrivato il 29 novembre 2021, quando ha annunciato le sue dimissioni da CEO di Twitter con un messaggio che suonava più come una confessione che come un addio aziendale. “Non credo che le aziende debbano essere guidate per sempre dai loro fondatori”, scriveva, ma tra le righe si leggeva un’ammissione più profonda: aveva creato un mostro e ora doveva ucciderlo. Tre anni dopo, l’uomo che un tempo incarnava il sogno della comunicazione globale istantanea predica il vangelo della decentralizzazione con il fervore di un convertito.
La metamorfosi di Dorsey da faraone del tech a profeta del “cypherpunk” è una delle parabole più affascinanti della Silicon Valley contemporanea. Non si tratta semplicemente di un ceo che cambia strategia aziendale, ma di una rivoluzione filosofica che mette in discussione le fondamenta stesse dell’economia digitale. Il problema, stavolta, non è un meccanismo digitale inceppato, un server con un bug, ma un’architettura di potere che lui stesso ha contribuito a costruire. L’ironia della storia vuole che il co-fondatore di una delle piattaforme più centralizzate al mondo sia diventato l’evangelista più credibile della decentralizzazione.
Il paradosso Dorsey attraversa tutta la sua biografia: il ceo miliardario che predica l’anarchia digitale, l’imprenditore di successo che ha dato a Elon Musk e Donald Trump le trombe dell’Apocaisse che adesso critica il capitalismo della sorveglianza, l’innovatore che considera il suo capolavoro un errore sistemico. Nato nel 1976 a St. Louis, cresciuto tra sistemi digitali e protocolli di emergenza, Dorsey porta nella tecnologia l’ossessione per la resilienza e l’autonomia che caratterizza il movimento cypherpunk. Ma a differenza dei pionieri della crittografia, lui ha avuto il potere di plasmare il mainstream, e ora ne paga le conseguenze filosofiche.
La strada verso la Damasco digitale di Dorsey inizia con un’epifania tardiva: Twitter non doveva essere un’azienda ma un protocollo. Durante il suo secondo mandato come ceo, tra il 2015 e il 2021, matura la consapevolezza che gli incentivi corporate tradiscono la natura stessa della comunicazione sociale. “È difficile per qualcosa come Twitter essere un’azienda, perché hai incentivi aziendali quando vuole essere un protocollo”, confesserà anni dopo nel podcast revolution-social, ammettendo implicitamente di aver costruito il Frankenstein digitale, il vero mostro del nostro tempo.
Il laboratorio della decentralizzazione
Dalla sua uscita da Twitter, Dorsey ha trasformato Block (ex Square) in un laboratorio di sperimentazione post-corporate. L’azienda non si limita più ai pagamenti digitali: sviluppa chip per il mining di Bitcoin, finanzia infrastrutture decentralizzate e progetta un ecosistema finanziario che bypassa le banche tradizionali. Il salto concettuale è radicale: da abilitatore del capitalismo della sorveglianza a sabotatore dello stesso sistema che lo ha arricchito. Block diventa così il cavallo di Troia attraverso cui Dorsey introduce nel mercato mainstream tecnologie progettate per renderlo obsoleto.
Il triumvirato delle sue creazioni più recenti disegna una mappa precisa delle sue ossessioni. Bitchat promette comunicazioni mesh via Bluetooth che funzionano anche senza internet, una sorta di walkie-talkie crittografato per l’era della sorveglianza digitale. White Noise spinge ancora oltre l’asticella della privacy, mentre il progetto Bluesky è ironicamente diventato il simbolo del suo fallimento nel convincere il mercato ad abbracciare la vera decentralizzazione. Quando Dorsey abbandona il board di Bluesky nel 2024, l’accusa è lapidaria: stanno “ripetendo tutti gli errori” di Twitter, inclusa la creazione di sistemi di moderazione centralizzati.
Il nuovo collettivo “and Other Stuff”, appena finanziato con 10 milioni di dollari dalla sua fondazione Start Small, rappresenta il tentativo più ambizioso di costruire un’alternativa sistemica. Non un’azienda ma una community di hacker che sviluppa strumenti open source su protocolli come Nostr e ActivityPub (usato da Mastodon). La filosofia è radicale: finanziare senza controllare, creare senza possedere, distribuire potere invece di concentrarlo. È l’antitesi perfetta del modello venture capital che domina la Silicon Valley.
La strategia del non-controllo si estende a ogni aspetto dei suoi nuovi progetti: i protocolli sono aperti, il codice è trasparente, le decisioni sono distribuite. Dorsey ha imparato la lezione più dolorosa dell’era delle piattaforme: chi controlla l’infrastruttura controlla il messaggio. Per questo motivo rifiuta di replicare con Nostr l’errore commesso con Twitter, preferendo un’architettura che per design non può essere catturata da interessi commerciali o politici. Il prezzo di questa purezza ideologica è l’incertezza sulla sostenibilità economica, ma Dorsey sembra aver fatto pace con l’idea che alcuni esperimenti debbano rimanere esperimenti.
La filosofia del protocollo
Il manifesto anti-advertiser di Dorsey parte da una constatazione brutale: quando il business model dipende dalla pubblicità, gli inserzionisti diventano i veri clienti. Gli utenti si trasformano in prodotto, i contenuti in esca per l’attenzione, le piattaforme in slot machine progettate per massimizzare l’engagement. “Possono semplicemente rimuovere i soldi, cioè i tuoi soldi, e le tue entrate crollano completamente”, spiega riferendosi al potere di ricatto degli inserzionisti. La soluzione che propone è radicale: solo protocolli aperti su cui chiunque può costruire business sostenibili senza dipendere dalla raccolta dati o dalla manipolazione algoritmica.
Il modello Bitcoin diventa il template per tutti i suoi progetti futuri: completamente aperto, non posseduto da nessuno a livello protocollare, resistente alla cattura dei sistemi di regolamentazione. Nato per vivere (e forse morire) libero. L’ossessione per la criptovaluta originale non è casuale: rappresenta l’unico caso di successo di un’infrastruttura digitale globale che nessun governo o corporation può spegnere. Dorsey vede in Bitcoin la prova che un’architettura decentralizzata può non solo funzionare ma prosperare, creando valore senza intermediari e ricchezza senza estrazione. È il santo graal della tecnologia libertarian: un sistema che si autoregola e autofinanzia senza bisogno di autorità centrali.
La rottura definitiva con Bluesky arriva proprio su questo punto: nonostante le buone intenzioni, la startup rimane intrappolata nella logica venture capital. I finanziatori vogliono il controllo: crescita e monetizzazione, tutti elementi incompatibili con la vera decentralizzazione. “Voglio spingere l’energia in una direzione diversa, più simile a Bitcoin”, ha detto Dorsey alla stampa mentre se ne andava, sancendo il divorzio con la sua stessa creazione. È un gesto estremo che pochi imprenditori di successo avrebbero il coraggio di compiere: rinnegare il proprio progetto per coerenza ideologica.
Il sogno finale è una internet che sia davvero degli utenti: protocolli aperti, algoritmi trasparenti, dati portabili. Un ecosistema dove gli sviluppatori possano innovare senza chiedere permesso, gli utenti possano migrare senza perdere la propria storia digitale, le comunità possano autoregolarsi senza dipendere da moderatori corporate. È un’utopia tecno-anarchica che Dorsey persegue con la determinazione di chi ha visto dall’interno quanto possa essere distorto il potere tecnologico quando si concentra nelle mani sbagliate.
Il visionario della mesh society
Siccome è americano e ossessionato come tutti i ricconi dall’Apocalisse che ha contribuito a progettare, Dorsey ama anche le scelte che permettono di sopravvivere a prescindere da tutto e da tutti. Oltre l’internet tradizionale, Dorsey immagina così reti mesh che funzionano anche quando tutto il resto collassa. Le comunicazioni resilienti non sono fantascienza ma necessità: blackout, censura, sorveglianza di massa e guerra cibernetica rendono sempre più fragili le infrastrutture centralizzate. Bitchat e i progetti del collettivo “and Other Stuff” preparano un futuro dove la comunicazione non dipende da server, provider o autorizzazioni governative. È l’evoluzione logica del movimento dei “preppers” applicata al digitale: costruire ridondanze e alternative per quando il sistema dominante smette di funzionare.
L’ecosistema Nostr (non è un refuso, si scrive proprio così) rappresenta il tentativo più ambizioso di sostituire Twitter con qualcosa di strutturalmente diverso. Il protocollo è così semplice da essere quasi banale: note firmate e inviate attraverso una rete di server indipendenti. Ma questa semplicità è una funzionalità, non un bug: più il sistema è elementare, più è difficile da corrompere o catturare. Nostr non ha ceo, non ha un board con dei consiglieri o dei venture capitalist da convincere: esiste e basta, come i Bitcoin. L’adozione cresce lentamente ma costantemente, alimentata da sviluppatori che condividono la visione di Dorsey di un social media veramente libero.
Start Small, la fondazione filantropica di Dorsey (che comunque, vendendo Twitter, nuota in un deposito pieno di soldi simile a quello di Zio Paperone), non distribuisce solo denaro ma evangelizza una filosofia. I progetti finanziati, dall’educazione su Bitcoin al sostegno di Signal, disegnano l’architettura di una società post-sorveglianza. È filantropia strategica nel senso più puro: non “carità” ma investimento in infrastrutture cognitive che potrebbero cambiare l’equilibrio di potere globale. Educare una generazione sui principi della crittografia e della decentralizzazione significa piantare i semi di una rivoluzione che forse solo tra decenni darà i suoi frutti. Significa creare cultura digitale nuova.
Tutto questo mentre Dorsey ha fatto una scelta drastica anche dal punto di vista logistico oltre che legale e strategico. La base operativa in Costa Rica non è solo un esilio volontario dalla Silicon Valley ma una dichiarazione di principi. Lontano dalle dinamiche tossiche della Bay Area, Dorsey può sperimentare senza la pressione degli investitori o l’influenza del groupthink tecnologico. Il Paese centroamericano offre anche un laboratorio perfetto per testare tecnologie resilienti: infrastrutture digitali meno sviluppate rendono più evidenti i vantaggi delle soluzioni decentralizzate. È geograficamente e filosoficamente agli antipodi di Cupertino.
Le contraddizioni del guru
Il paradosso di un miliardario che predica l’anti-capitalismo digitale non sfugge ai critici. Come si concilia un patrimonio di 3,8 miliardi di dollari con la filosofia anarchica della decentralizzazione? Dorsey naviga questa contraddizione con una strategia di auto-obsolescenza programmata: usa la ricchezza accumulata grazie al sistema centralizzato per finanziare la sua distruzione. È una forma di jujitsu economico dove il peso dell’avversario diventa la leva per ribaltarlo. Ma rimane il dubbio se questa operazione di lavaggio ideologico sia sufficiente a cancellare le responsabilità del passato.
Nemmeno il movimento cypherpunk lo accetta incondizionatamente: troppo mainstream, troppo ricco, troppo compromesso con il potere che ora dice di combattere. I puristi lo vedono come un “late adopter” che si è svegliato solo dopo aver realizzato i danni del proprio operato. Altri lo accusano di “virtue signaling”: facile predicare la decentralizzazione quando si hanno già miliardi in banca. La credibilità di Dorsey si gioca sulla capacità di dimostrare che il suo commitment verso la decentralizzazione sopravviverà anche a eventuali perdite economiche.
Il peso del passato lo perseguita in ogni dichiarazione pubblica: Twitter rimane il peccato originale che deve espiare. Ogni critica alla centralizzazione suona come un’ammissione di colpa, ogni progetto decentralizzato come un tentativo di redenzione. Un miliardario motivato dal senso di colpa? La storia giudicherà se questa conversione sia autentica o opportunistica, ma intanto Dorsey si comporta come un convertito con tutto il fervore e l’urgenza di chi ha molto da farsi perdonare. È una narrativa potente che alimenta sia l’ammirazione che il sospetto.
L’isolamento volontario dalla Silicon Valley potrebbe essere tanto una scelta strategica quanto una necessità psicologica. Lontano dal consenso sociale che celebra la crescita e la scalabilità, Dorsey può perseguire progetti che nel mainstream verrebbero considerati anti-economici o utopistici. Ma questa distanza comporta anche il rischio di perdere il contatto con la realtà: senza il feedback costante del mercato, anche le idee più brillanti possono trasformarsi in dogmi autoreferenziali.
Verso quale futuro
La roadmap della decentralizzazione che Dorsey persegue ha ancora enormi lacune tecniche ed economiche. I protocolli aperti devono dimostrare di poter competere con le piattaforme centralizzate non solo in termini di funzionalità ma anche di user experience. Nostr e BitChat sono ancora prodotti di nicchia che faticano ad attrarre utenti oltre la cerchia degli smanettoni e degli addetti ai lavori. Il salto dal prototipo all’adozione da parte del mainstream richiede compromessi che Dorsey potrebbe non essere disposto a fare. L’ossessione per la purezza ideologica rischia di rendere i suoi progetti eternamente marginali.
Gli avversari e gli alleati nel campo della decentralizzazione seguono strategie diverse: Mastodon punta sulla federazione, Urbit sulla sovranità digitale, Brave sulla difesa della privacy. Ognuno di questi approcci rappresenta un diverso equilibrio tra idealismo e pragmatismo. Dorsey dovrà dimostrare che la sua via, cioè il protocollo puro senza compromessi commerciali, può generare un ecosistema sostenibile e attraente per gli utenti normali. La sfida non è solo tecnica ma anche narrativa: convincere il pubblico che la decentralizzazione vale la complessità aggiuntiva.
Il test del mainstream si giocherà sulla capacità di rendere invisibile la complessità tecnologica sottostante. Se BitChat richiede una laurea in informatica per essere configurato, rimarrà per sempre un giocattolo per geek. Se Nostr non riesce a offrire un’esperienza fluida quanto Twitter, gli utenti torneranno alle piattaforme centralizzate. Dorsey lo sa bene: ha vinto una volta rendendo semplice la complessità (i 140 caratteri di Twitter), ora deve ripetere il trucco ma in direzione opposta. Invece di centralizzare per semplificare, deve decentralizzare mantenendo la semplicità.
L’eredità in costruzione di Dorsey si misurerà sulla durata dei protocolli che ha contribuito a finanziare e promuovere. A differenza delle aziende, i protocolli possono sopravvivere ai loro creatori: Bitcoin esiste da 16 anni senza Satoshi Nakamoto, internet funziona ancora dopo decenni senza i suoi inventori originali. Se Nostr e gli altri progetti di Dorsey riusciranno a raggiungere questa forma di immortalità tecnologica, avranno vinto la scommessa più importante. Dimostrare che si può costruire valore duraturo senza concentrare potere.
Anche perché agli osservatori rimane sempre un dubbio: in un mondo sempre più sorvegliato e centralizzato, le utopie di Dorsey potrebbero essere l’ultima speranza di preservare spazi di libertà digitale. O potrebbero rimanere bellissimi esperimenti destinati a interessare solo gli archeologi alieni del futuro che studieranno cosa avremmo potuto diventare.












