Come vi riferivamo qualche mese fa, British Telecom, “svegliandosi” con circa 15 anni di ritardo, reclama pubblicamente un sua licenza registrata a metà degli anni ’70 intitolata “Information handling system and terminal apparatus therefor”, ma d’altro non si tratta se non nel brevetto sui link degli ipertesti tanto popolari sullla rete Internet per spostarsi da una pagina ad un’altra.
L’azione di BT, che mira a ricavare cifre spropositate dall’uso dei link in modo intenso per lunghi anni, è sfociata lunedì in un preliminare confronto processuale negli USA.
La giudice distrettuale Colleen McMahon, per quanto compita e seria, con le sue risposte ha fatto fare subito brutta figura a BT: è curioso che un brevetto del ’76 possa essere applicato al WWW dato che questo è nato una decina di anni dopo (e i termini del brevetto stanno a dimostrare quanto datato ed inapplicabile possa essere attualmente), comparare un computer degli anni settanta con uno del terzo millennio è del tutto anacronistico, allora un mainframe era grosso come una Buick ed aveva la potenza di calcolo inferiore a quella di un PDA di oggi.
Non pago l’avvocato di BT, Albert Breneisen, ha replicato che la struttura base del link è coperto dal brevetto e senza questa tecnologia di BT chiunque dovrebbe digitare ogni volta un nuovo URL.
Ammesso che BT riesca a vincere, sarà interessante vedere chi dovrà staccare gli assegni di risarcimento, presenti all’udienza c’erano gli avvocati di Prodigy, uno dei primi internet provider, ma più che altro chiamati a rappresentanza.
Vedremo come andrà a finire il processo, ma nel frattempo deliziamoci con i primi esperimenti di World Wide Web in questa serie di filmati in formato RealPlayer dell’Università di Stanford, una vera risorsa storico-tecnologica.
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Il giudice a BT: ridicola la pretesa sugli ipertesti
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