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iPhone 15, innovazione senza rivoluzione, la ricetta segreta di Tim Cook

Preso da solo iPhone 15 Pro Max è un telefono straordinario. Scocca in materiali incredibili (titanio leggero e resistentissimo), riparabilità ai massimi livelli, processore di classe desktop, schermo pazzesco per luminosità e resistenza agli urti e graffi, video-fotocamere di qualità praticamente professionale (e molti professionisti lo usano infatti per produrre contenuti che creano ricchezza).

Addirittura una connessione USB 3 da 20 Megabit al secondo (con cavetto dedicato USB-C). Un telefono da fine del mondo.

Messo in prospettiva, è un “telefono meh”: design identico alle generazioni precedenti dalla 12 del 2020 (o dal 2022 con Dynamic Island), potenziamento di funzioni già esistenti, evoluzione marginale di alcune caratteristiche (gli aumenti di processore e gpu sono difficilmente apprezzabili da chi telefona, manda messaggi, naviga e fa la posta elettronica), medesima autonomia, medesimo prezzo.

Aumento di prezzo, dove? Gli iPhone 15 costano meno degli iPhone 14

Medesimo tutto a parte la porta USB-C che, nell’uso di tutti i giorni è comoda a meno che non siate dei fedeli del mondo Apple e abbiate a casa una mezza dozzina di costosi cavetti Lightning che adesso potete usare per legare i sacchetti dell’umido. In pratica è un iPhone 14 Pro con la USB-C un po’ più potente.

La verità come al solito non esiste: non c’è un telefono che accontenta tutti, questo è ovvio. Ma vale la pena capire perché quest’anno appare ancora più evidente del solito che la Apple che ci ha abituato a colpi di scena e grandi sorprese, quella della One More Thing di Steve Jobs (il primo iPhone, il primo MacBook Air) e di Tim Cook (il Vision Pro) è in realtà l’eccezione che conferma la regola. E quest’anno per gli iPhone parliamo di regola, non di eccezione.

Il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto di iPhone 15

iPhone 15 e l’evoluzione controllata di Tim Cook

Cerchiamo di trovare una ragione, un punto razionale, per spiegare l’approccio evolutivo. Tim Cook ha una mentalità da ingegnere. Si è dimostrato un leader straordinario per Apple, rendendo l’azienda un colosso con una capitalizzazione di mercato e una dimensione a cui Steve Jobs, scomparso dodici anni fa, non si era mai avvicinato.

Lo ha fatto tramite l’innovazione? Certo, c’è anche quella, ma l’ha fatto soprattutto con metodo e controllo. E una evoluzione che ha creato una progressione più che lineare, favorendo una crescita dell’azienda incredibile.

Tim Cook ha domato la bestia della complessità e reso gestibile un’azienda con terzisti che danno da lavorare a un milione di operai (Foxconn) per produrre un centinaio di milioni di manufatti estremamente complessi, con lavorazioni di altissimo livello e centinaia di componenti che provengono da tutto il pianeta in un arco di tempo estremamente compresso. Per la prima ondata di lancio vengono costruiti milioni di terminali in poco più di un mese.

Per farlo, ha dovuto mettere la creatività al servizio dell’impresa e non viceversa. Quindi, anziché un’azienda geniale e sregolata, o una azienda eccessivamente creativa e vittima dei capricci del design, ha creato una azienda che ha messo la quadra attorno a una serie di limitazioni e ha stabilito degli obiettivi molto rigidi che si susseguono anno dopo anno e che portano a una forma di innovazione che potremmo chiamare “innovazione continua industrialmente sostenibile“.

 

Una grande azienda con prodotti regolari

Ecco quindi i cicli di Apple, a cui noi consumatori siamo abituati perché vediamo la regolarità dei lanci di prodotto, e c’è tutto un settore di internet il cui sport preferito è cercare di prevedere quali siano le novità all’interno di una matrice di prodotto e temporale molto chiaramente definita.

Dietro questi cicli ci sono da un lato l’innovazione studiata e fermamente perseguita dalle donne e dagli uomini di Apple, dall’altra le limitazioni del processo industriale. Si va in scena ogni anno con un prodotto nuovo che, per poter essere veramente tale, ha in realtà un ciclo “nascosto” più lungo.

La scocca viene disegnata con anni di anticipo e viene ripetuta per tre anni almeno. Molte componenti cambiano ma non il design completo, che invece viene modificato internamente, entro dei limiti stabiliti per la forma esterna: materiali, componenti, la loro organizzazione e riparabilità.

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E quando si fa una versione nuova del telefono, non si butta via niente di quel modello per anni, mantenendo una continuità che è anche una eredità che consente di ammortizzare i costi di sviluppo e di non stravolgere ogni pochi mesi la linea di produzione e soprattutto le operazioni tecniche che gli operai e le operaie che dovranno assemblare i telefoni hanno imparato.

Perché cambiare un dettaglio, spostare un pulsante o un componente, vuol dire stravolgere la linea di produzione, cambiare i processi, rendere più complesso o comunque differente il modo con il quale si arriva al prodotto finito.

Sono le conseguenze enormi di ogni piccolo segno di lapis fatto sul taccuino per gli appunti dell’anonimo designer di Apple (dopo la dipartita di Jony Ive), fatto pigramente mentre guarda dalla vetrata del suo ufficio nella capitale di Apple a Cupertino il giardino dell’Eden voluto da Steve Jobs all’interno della sede aziendale con tanto di arco ad arcobaleno per ricordare la ricchezza e diversità dell’esperienza e dell’esistenza umana.

Quel segno di lapis, o più probabilmente quel tratto di Apple Pencil su un iPad Pro, ha il potere di cambiare non solo l’esperienza estetica e d’uso di milioni e milioni di utenti Apple, ma anche di rivoluzionare il processo produttivo, cambiando radicalmente la filiera e le fasi di produzione. Una responsabilità che, geniale da parte di Tim Cook, il leader di Apple è riuscito a imbrigliare.

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E quindi, seguendo l’adagio che la creatività è come un gas: se la comprimi diventa esplosiva ma se la lasci fare si disperde, Tim Cook ha studiato, da buon ingegnere qual è, quali erano tutte le possibili limitazioni e vincoli derivanti dalla tecnologia (le dimensioni fisiche delle componenti, il loro consumo, la loro termica) e dalla produzione (i materiali, i processi di assemblaggio dei prodotti, il packaging, la spedizione, lo stoccaggio, la vendita, il recupero e il riciclo) e ha imposto un gigantesco mega-processo che mette ordine in tutto questo.

Un processo nel quale le innovazioni per il solo gusto di sorprendere il pubblico non ci sono più, e invece si va avanti con un ordine molto poco caotico in cui le novità arrivano, pian piano, ma regolarmente.

È per questo che i nuovi iPhone 15 e 15 Pro, come il nuovo Apple Watch Serie 9 e Ultra 2 sono prodotti al tempo stesso già visti e forse addirittura banali e, dall’altro lato, assolutamente straordinari e unici. Questo perché sono stati pensati talmente bene che non c’è più spazio per l’improvvisazione, ma c’è ancora un sentimento che tiene insieme il marchio Apple (e il suo marketing) con il suo pubblico.

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