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Ma, alla fine, che cosa c’è dentro Second Life?

La passione per Second Life è diventata quasi parossistica. E lo scrive chi una volta alla settimana fa reportage per Radio24 sull’argomento con un avatar di nome Toto Pessoa. Tutti i mezzi di comunicazione se ne stanno occupando, e non solo. Anche le istituzioni e le aziende del nostro Paese. Persino i politici. Come sempre succede in questi casi, poi, c’è chi ha preso una posizione nettamente contraria e “sfavorevole” al fenomeno SL, e c’è chi invece si fa evangelist a tutti i costi, predicando a destra e a manca il futuro delle comunità  online simili a un videogioco.

C’è di buono, come sempre accade con l’informatica di rete, che al netto della pubblicità  che tutti stiamo facendo all’attività  dei Linkedin Labs, in realtà  si può prendere e andare a toccare “con mano” di che cosa si tratta. La versione base dell’accesso è gratuita e il client per connettersi è offerto anche per Mac oltre che per Pc e Linux.

Però, in pochi si sono chiesti un’altra cosa: che cosa c’è dietro? Cioè, il mondo virtuale diviso in isole e popolato da 30mila abitanti per volta, per un totale di 4,5 milioni, su cosa “gira”? Quali i computer, i server, i software, la logica del sistema? Se l’è in realtà  chiesto InfomationWeek, che ha fatto anche la cosa più normale del mondo per una testata giornalistica: è andata a vedere di persona.

Evidenziando subito la prima difficoltà ; la crescita di Second Life stanno creando problemi non da poco ai server di Linden, in cronico sovraccarico. Come mai? Per via delle scelte di architettura dei due data-center (uno a San Francisco e l’altro vicino a Dallas). La logica con la quale girano le unità  1U (analoghe a quelle degli Xserve di Apple, per intendersi) è che ogni processore gestisca una singola porzione del gioco, identificata come un’isola. Sono duemila le unità  basate su Debian Linux, database MySQL e processori Intel e Amd; e benché sfruttino software open source, da tempo ci si chiede quanto ci vorrà  perché i Linden Lab aprano completamente il codice delle loro applicazioni per crescere in maniera più sana ed organica.

Il limite della scelta 1 processore = 1 isola è che, per quanto deserta in un dato momento oppure popolata da decine di persone, la capacità  del sistema è rigidamente ancorata a questo presupposto. Infatti, la filosofia di SL è che i residenti sono ancorati alle zone del territorio virtuale e che le loro proprietà  – immobili o mobili – sono in qualche misura ancorate o a una parcella di territorio oppure alla dislocazione geografica virtuale dell’avatar.

I problemi, anche con la attuale possibilità  di circa 100 mila collegamenti in contemporanea, è la scarsa capacità  di scalare del sistema. Non sono infrequenti le “chiusure” complete per aggiornamento (l’ultima la scorsa settimana) e manutenzione oppure il fatto che il singolo, se decide di spostarsi fisicamente da una zona all’altra anziché teletrasportarsi (in questo secondo caso il sistema rinegozia la sua presenza) può o essere buttato fuori momentaneamente dal sistema o addirittura mandare in crash una delle Cpu, con nefaste conseguenze anche per gli altri utenti di quella landa.

L’ambizione di Second Life sarebbe prima di tutto risolvere questi problemi, arrivando a moltiplicare ancora di più il numero di Cpu utilizzate (e di box dove vengono contenute, che attualmente sono duemila e dovrebbero presto arrivare a 10mila) ma non è chiaro se l’idea è quella di cambiare radicalmente il modello It alla base oppure no. Come ha osservato il Cto di Linden Lab, adesso i server reggono 34 Terabytes di dati generati dagli utenti e viaggiano in maniera problematica ma viaggiano. Cambiare tutto sarebbe un po’ come cercare di cambiare i motori di un aereo di linea mentre sfreccia a 900 chilometri l’ora sull’Atlantico, a dodicimila metri di quota. Un affare un po’ problematico, che alcuni potrebbero anche vedere come un serio problema (se il sito non dovesse funzionare in maniera fluida, ad esempio, potrebbe entrare in quella spirale di biasimo e critiche che è costata a Friendster quasi la possibilità  di restare sul mercato e ne ha comunque seriamente ridimensionato le ambizioni a scapito di MySpace) e che forse gli entusiasti dei media tradizionali e dei centri di decisione – anziché cavalcare l’attimo – potrebbero anche mettere a tema come elemento di decisione prima di investire tempo e denaro.

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