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Apple lotta (e paga) contro il diritto alle riparazioni fai da te

Scordatevi le riparazioni fai da te perché Apple, insieme ad altre multinazionali, sta facendo tutto il possibile per fermarle. Il colosso di Cupertino è in buona compagnia nel sostenere la lobby che si sta opponendo contro il disegno di legge per le riparazioni fai da te nello stato di New York: oltre ad Apple infatti ci sono diversi altri colossi statunitensi, tra cui Verizon, Toyota, il produttore di stampanti Lexmark, Caterpillar, Asurion, la società Medtronic che costruisce dispositivi medici e il Consumer Technology Association. Insieme queste società e organizzazioni stanno sovvenzionando studi legali e avvocati che si oppongono al disegno di legge Fair Repair Act, con il quale si vuole obbligare le aziende a fornire parti di ricambio a privati e centri di assistenza non autorizzati.

Tale proposta di legge vieta anche alle società di elettronica di implementare «Serrature software» che limitano le riparazioni, imponendo in molti casi la pubblicazione di guide per la riparazione da mettere a disposizione del pubblico. Non stupisce così vedere Apple preparare una guerra contro tale legislazione: a marzo la società si era infatti detta contraria alle riparazioni fai-da-te in quanto «Permettono agli hacker l’accesso all’hardware». Nel mese di febbraio il sostegno di Apple e dei Big ha avuto la meglio in Nebraska, stato in cui il disegno di legge è stato bocciato: ora documenti ufficiali svelano gli importi versati da Cupertino e molte altre società per ottenere lo stesso risultato nello stato di New York.

In base a quanto riporta Motherboard, da gennaio ad aprile le aziende contrarie al disegno di legge hanno speso oltre 366.000 dollari: soltanto Apple pagherebbe 9.000 dollari al mese come contributo alla sua lotta contro il disegno di legge per le riparazioni fai da te, mentre dall’altra parte una coalizione di officine di riparazione indipendenti sotto il nome di Digital Right to Repair Coalition avrebbe speso poco più di 5.000 dollari. Numeri che mostrano una notevole discrepanza tra le possibilità economiche e di conseguenza peso politico delle grandi società contrarie alla proposta di legge, rispetto ai diretti clienti e ai centri non autorizzati che, invece, ne beneficierebbero ampiamente.

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