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Commodore, a volte ritornano (all’Ifa di Berlino)

Immaginate una fiera da centinaia di migliaia di metri quadri. Capannoni infiniti, il laghetto con il parco al centro, decine e decine di file infinite di furgoni e migliaia di operosi addetti che portano avanti e indietro le derrate e gli altri materiali necessari alla vita quotidiana nel complesso multifunzionale in cui sono radunate settantamila persone, ogni giorno per una settimana.

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Immaginate anche di avvicinarvi e vedere stand su stand che riempiono i suddetti capannoni, con strutture megalitiche come lo Smau di Milano o il Cebit di Hannover non si sono mai neanche sognati.
Migliaia e migliaia di prodotti, palchi, infrastrutture, luci, piattaforme, soppalchi, monitor, standisti e standiste. Scene da anni Ottanta, con ragazze in bikini o vestite da poliziotte (tutine aderenti di lycra e la missione di “ammanettare” i maschietti passanti per trascinarli poi al loro stand), cubiste e luci stroboscopiche, bambole bionde con i capelli tinti di blu elettrico che distribuiscono brochure, odore di polpette in salsa piccante e bratwurst che rosolano nel lardo, Mercedes ed Audi scintillanti che fanno da shuttle per gli immancabili Vip, concerti e schermi, schermi, schermi, compresi gli Lcd da 110 pollici su cui si potrebbe anche dormire comodamente, vista la superficie pari a quella di un letto a una piazza e mezzo.

televisorone LCD

Immaginate questo mondo scintillante e pieno di curiosi che passano da un angolo all’altro della fiera per raccogliere bustate e bustate di cataloghi, souvenir, cd, magliette, cappellini, cartelle stampa, gadget di ogni forma e ogni fattezza. Immaginate l’ordinata confusione dei tedeschi, tutti con giacca e (improbabile) cravatta, dei ragazzini ordinati che procedono con buste e zainetti traboccanti di regali neanche fosse Natale, dei giovani in jeans e maglietta leggera sotto il sole tiepido di un’estate dolce che sta terminando lungo le due verdi e lussureggianti rive dello della Sprea.

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Immaginate insomma l’Ifa al giorno d’oggi: la più grande fiera europea che tratti di cose che hanno a che fare con il computer, l’elettronica e il broadcasting consumer: dal telefonino convergente allo schermo piatto, passando per il telecomando “made in Italy” fino all’hard disk alla moda per fare il backup con stile.

Ecco, adesso scendete di un piano (perché gli enormi capannoni della fiera di Berlino sono a tre piani, quando non di più) e rimoltiplicate tutto per due. Troverete altri stand, magari più piccoli, con altre migliaia e migliaia di prodotti. Pensate a una marca di elettronica, di televisori, di computer della quale avete sentito parlare magari solo una volta, e lì, proprio accanto, troverete anche decine di altre marche sconosciute da tutta Europa, Asia e pure dalle Americhe. E poi anche altri posti che magari nemmeno ci sono sulle cartine geografiche. Girate ancora e ancora, e non avrete visto che metà  della metà  di quello che c’è.

Ecco, adesso scendete ancora di più, al piano seminterrato, e moltiplicate per quattro, perché lì gli stand costano meno e ci sono ancora decine e decine di centinaia di metri di ordinate file in cui si assiepano altre decine e decine di aziende e altre aziende ancora, mostrando la merce, e la merce dei loro fornitori e quella di altre aziende ancora che si sono aggregate all’ultimo momento. Con le standiste magari un po’ meno fotomodelle, gli standisti che sono i dipendenti stessi dell’azienda anziché quelli dell’agenzia di pubbliche relazioni o quelli a contratto tra gli studenti e i giovani che comunque fanno questi lavoretti per guadagnare un po’ di soldi a fine estate.
E immaginate ancora centinaia e centinaia di prodotti su prodotti: questa volta “nudi”, pezzi di elettronica, pezzi di computer, componenti, matrici, schermi, trasformatori, induttori e tutte le diavolerie possibili e immaginabili che contengano un pezzetto o due di silicio.

Ecco, adesso siete arrivati. In fondo, dietro allo stand di un altro coreano tra i diecimila presenti, al millesimo palco con moquette sintetica e schermi luccicanti e display infuocati dalle alogene del capannone, si nasconde un nome e un marchio che all’improvviso ti proiettano indietro di venti anni. Signore e signori, benvenuti nello stand di Commodore.

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Sì, proprio quella Commodore. Come dimostra il logo “C=” e come subito chiarisce, esposto in due esemplari – uno per lato – l’accoppiata monitor, (enorme) lettore di floppy disk e Commodore 64, accesi e funzionanti. Qui, in Germania, a Berlino, nella capitale della seconda patria del Commodore 64, degli anni d’oro, si ripresenta al pubblico l’ultima incarnazione dell’azienda fondata in Canada dall’immigrato polacco Jack Tramiel, nato Idek Tramielski a Lodz e scampato ad un campo di concentramento nazista per diventare il padre-padrone della prima azienda a vendere più di un milione di personal computer e a realizzare il singolo computer di maggior successo (il Commodore 64, prodotto tra il 1982 e il 1994 in 27 milioni di esemplari) e autore di uno dei suicidi aziendali più clamorosi della storia dell’informatica.

Questa però è storia, anzi preistoria. Se la “sua” Commodore non esiste più, infatti, esistono però ancora il marchio e il nome, passati nel corso degli anni di mano in mano: dopo l’era di Tramiel e del computer for the masses, not for the classes, arriva quella del fallimento (1994) e poi del suo revival nella filiale inglese, Commodore Ltd, l’unica sopravvissuta allo tsunami dei debiti, acquisita dalla tedesca Escom nel 1995, fallita nuovamente un anno dopo e comprata nel 1997 da Tulip, piccolo produttore di Pc assemblati olandese. Lungo periodo di pausa, fino al 2003, quando Tulip tentò finalmente di commercializzare dei prodotti marchiati Commodore.

Contemporaneamente, a rendere la vicenda più complessa, non ci si erano messi solo quelli di QVC, azienda di cavi con sede negli stabilimenti in Pennsylvania della ex Commodore americana, che avevano commercializzato nel 2004 DTV, il “Commodore 64 in un joystick” da collegare direttamente alla tivù per rigiocare i vecchi classici, ma anche i cinesi di Hong Kong che avevano iniziato a vendere lettori Mp3 con il marchio dell’azienda (i rapporti con Tulip non sono mai stati chiariti). Infine, il nuovo fallimento, la vendita di tutto nel 2004 a Yeahronimo Media Ventures per 22 milioni di dollari dopo interminabili negoziazioni. E poi?

Poi, un bel giorno, arriva l’Ifa di Berlino e girando un angolo, impegnati nel duro e umile lavoro dei cronisti della tecnologia, fatto di scarpinate sulle moquette delle fiere di tutto il mondo, per il vostro affezionato giornalista arriva la sorpresa.

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Dunque: ecco a voi, signore e signori, la nuova Commodore. Sede legale ancora in Olanda, tra i canali di Amsterdam, management internazionale, un sito web aggressivo (ma ancora vuoto, però nel blog ci sono dei bei video caricati sul modaiolo Youtube) e un’ancor più aggressiva linea di comunicazione per prodotti non ancora commercializzati “ma già  a buon punto”. C’è di tutto, con l’ambizione (che era propria di Jack Tramiel e a quanto pare anche dei suoi eredi dei Paesi Bassi) di andare subito a competere a muso duro con i più grandi attori del mercato: Sony, Microsoft e soprattutto Apple.

commodore GPS

Perché adesso la scommessa di Commodore, la nuova Commodore, è un media center digitale e una linea di player multimediali, dotati di Wi-Fi vero (quello che si collega a Internet sul serio per comprare le canzoni dal futuro negozio anti-iTunes e che sconfiggerà  lo Zune prossimo venturo di Microsoft e anche l’iPod, già  che ci siamo), ampia capacità  di memoria ovviamente espandibili, giochi (la famosa e sterminata libreria di antichità  del buon vecchio 64, ma anche l’immancabile macchinetta virtuale Java per competere con il mercato in crescita dei micro-game da telefonino), persino il navigatore satellitare, tanto per andare a rompere le scatole anche a Garmin e TomTom.

Inutile dare specifiche o prezzi: i prodotti di Commodore per adesso sono mock-up o vaporware, a seconda dei punti di vista. Stanno là , in fiera, adagiati in vetrina come piccoli figli di Cronos, in attesa di poter mangiare il successo del loro antenato e genitore Commodore 64, in una sorta di paradosso della mitologia, superando il padre e diventando dei nuovi eroi, nuovi dei dell’Olimpo dell’elettronica di consumo.

Sarà  ovviamente la storia a giudicare che cosa succederà  e a mostrare se le casse dell’azienda si riempiranno d’oro come quelle dei corsari inglesi e dei conquistadores spagnoli, oppure se i libri contabili tra poco faranno l’ultimo viaggio verso i polverosi scaffali del tribunale fallimentare di Amsterdam. Le armi tuttavia sono pronte, il Commodore sta per tornare e ha ancora voglia di conquistare il mondo. Rimane un’ultima incognita: ci sarà  ancora un mondo da conquistare per lui?

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