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Dalla stanza da bagno all’iPhone e ritorno: Jony Ive, sta progettando un dispenser per il sapone

Si può passare dal (quasi) massimo dell’hi-tech com’è l’iPhone, al (quasi) minimo della quotidianità come un dosatore per sapone? Il tragitto è complesso e improbabile, ma lo diventa anche di più se a compierlo è una figura come Jonathan Ive, uno dei più apprezzati, citati e influenti designer al mondo. Eppure pare proprio essere questa l’ambizione dell’uomo che, dopo essere arrivato in Apple nel 1992 a fare da supporto a un team che già allora aveva delle figure di spicco, ha saputo creare prodotti che sono storia non solo dell’informatica, ma anche del design come iMac, iPhone, l’iPad.

Perché mai un progettista di fama mondiale del suo calibro dovrebbe avere interesse in un umile oggetto rétro come un dispenser per il sapone in una sorta di ritorno al futuro (Ive aveva iniziato disegnando sanitari per il bagno)? Lo Chief Design Officer ha raccontato al Financial Times di credere fermamente che lo scopo del design è celebrare “l’umanità”. Questo richiede la creazione di oggetti che sembrano incredibilmente semplici ma risolvono problemi chiave, come ad esempio lavare le mani, in modo straordinariamente bello e facile.

“Non esistono buoni dosatori di saponi” ha affermato Ive spiegando di essere alla ricerca di un modo per crearne un veramente valido e risolvere un problema che, a quanto pare, lo “infastidisce” molto. Realizzare il dosatore perfetto potrebbe sembrare poco stimolante ma tutto nasce dalla rivoluzione anticonformista che è in corso nella Silicon Valley, una vera e propria mania, ossessione, verso oggetti “old-style”.

Più velocemente le aziende si buttano nell’incorporeo cybermondo, più i magnati della Silicon Valley sembrano essere alla ricerca di esperienze di vita vecchio stampo, dare maggior valore a oggetti che nel mondo reale stanno diventando sempre più rari.

Mentre genitori all’infuori della Silicon Valley mandano prima possibile i loro figli a scuole per apprendere l’arte della programmazione, molti leader nel settore tecnologico vogliono che la loro prole stia il più possibile lontano dagli schermi: le colonie dove i ragazzi lavorano il legno sono diventate di moda. L’imperativo ora è: staccare il telefono, fare escursioni senza guardare tutto il giorno lo schermo di un cellulare, imparare ad annodare tappeti e cose di questo tipo.

Lo studio di architettura Foster riferisce che i clienti della Silicon Valley, quando commissionano loro un lavoro, immancabilmente vogliono vedere riproduzioni in scala vecchio stile. A quanto pare le immagini generate al computer sono apprezzate in altri luoghi ma non, per assurdo, nell’area nella quale lavorano le più importanti aziende ad alta tecnologia di tutto il mondo.

La missione di Ive dimostra che il designer non deve tenere conto solo dell’efficienza di un oggetto ma anche pensare a questo come a qualcosa che fa sentire le persone più “umane” in un mondo eccessivamente saturo di tecnologia. Sembra ovvio ma dare un tocco di umanità agli oggetti è un obiettivo arduo e sfuggente, qualcosa che richiede ai designer di mettere insieme competenze artistiche e tecnologiche, la capacità di creare “un’emozione” qualcosa che non può essere fatto dal lavoro di un robot.

Il Royal College of Art, che ha da poco nominato Ive cancelliere, ha intenzione di intensificare gli sforzi nel campo del cosiddetto settore STEAM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Arte e Matematica) con attività formative mirate a far conoscere la scienza dei materiali, l’impatto della digital-economy, procedure avanzate di fabbricazione. L’idea è che separare arte e scienza soffochi in qualche modo l’innovazione ma metterle insieme può in qualche modo aiutare a “umanizzare” la tecnologia. Steve Jobs si è interessato al design e alla bellezza in generale grazie a un monaco calligrafo (ne abbiamo parlato in dettaglio qui), un uomo che affasciò il giovane Jobs con l’arte della scrittura ornamentale, un incontro che si rivelò fondamentale anni dopo quando nacque il primo Mac.

Jony Ive

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