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Ma torneranno le ”One more thing”?

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C’è un senso di nostalgia canaglia che corre sotterranea. Una nostalgia che in qualche modo arriva di nascosto, da dietro le spalle, ma poi sale rapida e ti coglie alla gola. Ti schiaccia tra gli occhi, facendoli accigliare. Non è la nostalgia di qualcuno e, tutto sommato, neanche di qualcosa. È diverso.

Me ne sono accorto immaginando quando ci sarà il prossimo evento di presentazione di prodotto Apple (già: quando ci sarà?) e assisteremo tutti assieme alla nuova liturgia che fa seguire a Tim Cook la sua squadra di top manager, sino ad arrivare all’ultima parte del keynote. Il momento chiave. Tim Cook torna sul palco, ricapitola brevemente quel che si è detto, fa vedere di nuovo i prodotti principali e poi… anziché far salire un artista sul palco che si mette a suonare, come è accaduto le ultime due volte, pronuncia le fatidiche parole: “One more thing!”.

Probabilmente è un sogno destinato a non realizzarsi mai anche perché vorrebbe dire violare una delle direttive che apparentemente si è dato il manager che ha sostituito Steve Jobs: mai indossare le scarpe dell’ex capo. Lo aveva chiesto anche il fondatore di Apple, se pure indirettamente: siate voi stessi, fate quel che pensate che sia meglio per Apple, non mettetevi a fare quel che credete che avrei pensato io, cioè non scimmiottatemi. E tirare fuori la “One more thing!”, l’annuncio a sorpresa di fine keynote, la trovata teatrale elementare nella sua capacità di riscuotere uno straordinario successo in termini di aspettative e soddisfazioni da parte del pubblico in sala e a casa, sarebbe in effetti un modo per entrare nelle scarpe New Balance modello 991 di Jobs. Non va bene.

Però, più passa il tempo e più il vostro cronista si rende conto che qualcosa manca alla liturgia. Il rito collettivo dello “One more thing!” era qualcosa di più che non ad esempio il vezzo dei superlativi che punteggiava l’eloquio di Steve Jobs, e che peraltro Tim Cook in qualche maniera echeggia. Cook si è preparato per essere nel medesimo tempo se stesso ma anche un buon successore di Steve Jobs, con un’ottica di continuità che permette a tutti quanti di essere a loro agio. Cook non è un tecnologo ma un leader del business, quindi lascia spazio alle personalità dei suoi uomini di punta per giocare la parte di presentazione dei singoli prodotti, mentre lui fornisce la cornice. In certi momenti l’ha fatto anche Steve Jobs, che alternava sempre più questo ruolo con quello di maschio alfa della tecnologia, in grado di salire sul palco e presentare come suoi i prodotti realizzati dai suoi team, saltando da uno all’altro con grazia ed efficacia.

Se ci pensate, Tim Cook ha anche lavorato sul modo di comparire in pubblico: quali vestiti mettere, se una camicia o una maglia, se scarpe allacciate da uomo o scarpe da runner, se jeans o pantaloni sportivi o con le pences, Cook è un uomo da consigli di amministrazione, ma è anche uno sportivo, decisamente molto più sportivo di Jobs e quindi – se vogliamo – più titolato di lui a vestirsi in maniera sportiva. Eppure ha fatto una scelta di contenimento, un look che sia di continuità se pure con delle variazioni verso il “serio”. Una scelta che ripaga in termini d’immagine oltre che di praticità: è più facile e gestibile un’immagine di questo tipo, sempre uguale a se stessa e costruita per rendere immediatamente riconoscibile senza effetti di straniamento il nuovo personaggio sotto i riflettori.

Gli argomenti insomma per avere di nuovo gli “One more thing!” oppure no come vedete ci sono e sono simmetrici. Si potrebbe, volendo, e non sarebbe uno sbaglio comunicativo dal punto di vista della delicata gestione del nuovo leader sul palco degli eventi pubblici di Apple. Invece, a mio avviso, ho la sensazione che sarebbe importante da un punto di vista psicologico per molti di noi, che partecipano dal vivo o in differita streaming agli eventi e che poi soffrono silenziosamente questi finali in minore, con il concertino, in cui non c’è più il guizzo geniale dell’artista, il carpiato del saltimbanco che è nato per creare ma anche per stupire.

tim cook

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