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Sblocco software iPhone: problemi legali in arrivo per chi lo propone

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Avranno vita difficile le aziende che vogliono sbloccare iPhone vendendo un metodo software per permettere a tutti di riuscire nell’impresa di utilizzare una SIM della concorrenza di AT&T.

Mentre la prima software house che aveva contattato Engadget e aveva fornito una prova efficace delle capacità  dei suoi ingegneri nello sblocco per il momento non fa avere notizie di se, gli irlandesi che hanno istituito www.iphoneunlocking.com in cui campeggia ancora la richiesta (un po’ incauta a dire il vero) di fornire l’IMEI del vostro cellulare, comunicano al mondo di essere contattati da uno studio legale americano di Menlo Park che tutela AT&T con la diffida “telefonica” di cessare, o meglio non iniziare, la vendita della propria soluzione.

Gli sviluppi sono ancora tutti da valutare visto che in assenza di una comunicazione scritta ufficiale l’azienda non è in grado di comprendere i termini delle diffida e di verificare se proseguire la sua attività  di commercializzazione.

Sta di fatto che a tutto’oggi (domenica) delle soluzioni software promesse nei giorni scorsi nessuna è realmente disponibile e sicuramente non pensiamo che gli utenti del prezioso cellulare vogliano rischiare di perderlo con un intervento al saldatore come quello effettuato dal teenager di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi.

Al momento l’unico hack veramente praticabile sembra essere quello delle SuperSim e Turbosim che abbiamo descritto su questa pagina con le difficoltà  di reperire in un caso la SIM V1 e nell’altro l’accessorio di Bladox che tuttora permangono.

Chi vuole telefonare in Italia con iPhone senza roaming AT&T e non può praticare l’hack delle SIM deve ancora aspettare.

Ovviamente tutta la vicenda suscita diversi interrogativi di carattere legale: da una parte ci si pone la domanda se lo sblocco può andare contro gli interessi di Apple facendo funzionare il telefono in un paese in cui non e’ ancora commercializzato e se AT&T può intervenire a livello internazionale su apparecchi non funzionanti sulla sua rete.
La legge americana non punisce gli atti di reverse engineering a meno che non vengono compiuti a scopo di lucro e in questo caso, a meno che la soluzione non venga regalata, ci sarebbero tutti gli estremi per un procedimento legale.

Dall’altra parte è da capire come la posizione di Apple, una azienda che, ricordiamo, per nascere ha racimolato un piccolo gruzzolo dalla vendita di Blue Box (un sorta di unlock dei tempi andati per fare telefonate alle spalle di Bell, l’antenata dell’attuale AT&T).

Se l’unlock software viene utilizzato sul suolo statunitense si venderanno sicuramente più iPhone a coloro che non voglio abbandonare il proprio operatore telefonico ma Cupertino perderebbe i profitti derivanti dalla percentuale che gli viene corrisposta mensilmente da AT&T sul canone del contratto che gli utilizzatori del cellulare devono obbligatoriamente sottoscrivere.

Vedremo nelle prossime ore come si evolverà  la situazione e soprattutto se iPhonesimfree.com è in grado di fare qualche passo avanti sfidando le ire di AT&T.

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