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Usa: pronta la legge sulla Net Neutrality, retromarcia italiana

Mai come di fronte a queste notizie si prende coscienza che ci sono zone del mondo che vanno a velocità  molto diverse. Da un lato, l’ex consigliere per la tecnologia della campagna elettorale di Barack Obama, Julius Genachowski, oggi presidente della Federal Communications Commission (l’ente che regola le materie di telecomunicazioni negli Usa) si avvia a presentare la proposta di legge per la Net Neutrality, che livella il campo per tutti quelli che vogliono innovare la rete con applicazioni nuove e i cittadini Usa che non vengono discriminati, in Italia uno degli operatori che fa di vanto gli investimenti massicci sulla rete, la velocità  e la capacità  di banda avverte che sta per procedere a eventuali “rallentamenti del traffico” per quanto riguarda connessioni P2P e VoIP dalle 7 alle 22 a partire dal 20 novembre prossimo, per evitare disservizi provocati da un potenziale eccesso di traffico.

Le due notizie sono un triste esempio di velocità  molto diverse: Vodafone non pratica, per quanto è stato possibile verificare, questa politica di “traffic shaping” in nessun altro dei 30 paesi in cui è presente o degli altri 40 in cui è partner con altri operatori, e meno che mai lo farebbe in Gran Bretagna, dove ha sede la società  inglese guidata da Vittorio Colao e presieduta da John Bond e Johm Buchanan. Il ritorno di immagine sarebbe devastante e probabilmente altrettanto devastante la fuga degli abbonati.

In passato in Italia Tele2 era stata sanzionata dall’AGCom, a inizio anno, per aver messo in atto lo stesso comportamento senza però avvertire gli utenti. Vodafone ritiene di essersi comportata correttamente informando gli utenti e i potenziali clienti di questa sua scelta e di evitare così di poter incorrere in sanzioni dell’autorità  che regola le telecomunicazioni nel nostro Paese.

Rimane tuttavia che con questa mossa Vodafone si riserva apertamente il diritto di rallentare artificialmente il traffico sulle sue tanto declamate reti veloci HSDPA per chi utlizza applicativi non graditi: ad esempio software che generano traffico VoIP (come Skype, che ha anche applicazioni utilizzabili dal telefono cellulare e che quindi è un competitor rispetto alla stessa Vodafone, fornitrice sia dei servizi che della connessione) e P2P come BitTorrent e gli altri software per lo scambio dati peer-to-peer.

Negli Usa, invece, si viaggia in direzione opposta. La legge che potrebbe venir applicata molto rapidamente ha lo scopo di garantire e in qualche modo accelerare il tasso di innovazione digitale in quel paese, assicurandosi che gli operatori non sentano il bisogno di “stoppare” chi cerca di proporre nuovi prodotti innovativi in rete che non sono graditi ai signori della telefonia. Nessuna telco, infatti, apprezza l’esistenza di software come Skype che, tuttavia, è stato uno dei fenomeni innovativi più importanti degli ultimi anni e ha di fatto spodestato il predominio e il monopolio che portava a tariffe estremamente elevate.

Nel tempo gli operatori hanno sempre protestato con queste soluzioni “cannibali” che sfruttano le loro reti, costate secondo gli operatori medesimi “miliardi” per riuscire a garantire la banda gigantesca che gli utenti desiderano per fare i loro comodi in rete con telefonate stereo e videoconferenze, oltre all’uso di internet. Adesso, all’improvviso, si scopre che questi investimenti, per quanto presunti e costosi, erano potentemente sottodimensionati rispetto alla reale crescita della rete e costringono alcuni operatori a bloccare o rallentare il traffico “non gradito” non per la concorrenza che porterebbe ai loro servizi, ma per i “problemi” che secondo gli operatori i loro clienti dovrebbero patire ingiustamente.

In questa fase a difendere i consumatori, oltre a soggetti come la FCC americana, ci sono compagnie come Google e Skype, ma evidentemente lo fanno per motivi egoistici e non nell’interesse della competizione pura, regolata e corretta verso i consumatori. Da questo punto di vista negli Usa giocano un ruolo molto importante le associazioni come i gruppi di interesse dei consumatori, che fanno costante attività  di lobby verso il Senato e il Congresso statunitensi. In Italia, l’interesse è limitato a quanto pare a pochi gruppi di appassionati sui forum e poco altro.

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