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Blog e giornalismo: Apple e il resto del mondo

Chi ha ragione? La legione di avvocati di Apple o l’ufficio per le relazioni con la stampa della Casa Bianca? Come avete letto nel sommario, le vicende parallele stanno della causa di Apple maturata dopo il MacWorld dello scorso gennaio, ribattezzabile anche in Italia come il “Macworld dei rumors”, e l’evoluzione del dibattito sulla natura giornalistica o meno dei blog stanno convergendo rapidamente.

Per Apple la vicenda ha il sapore non tanto di un attacco frontale verso la libertà  di stampa, che negli Stati Uniti se non altro a livello pubblico viene proclamata come un ruolo costituzionalmente fondamentale di watchdog del pubblico rispetto al potere (e qui vengono citati una serie di presidente americani da Jefferson in avanti che hanno disegnato i confini di questo potere nel nascente quadro dell’ex colonia britannica e francese), quanto di una tutela del proprio patrimonio aziendale. ThinkSecret non ha “peccato” rivelando segreti industriali di Apple, quanto incoraggiando la delazione e affondando – sotto la lucida guida del suo direttore Nick De Plume, in realtà  giovanissimo studente universitario – le mani nel ventre molle del tradimento di persone vincolate contrattualmente al rispetto di obblighi di riservatezza verso il proprio datore di lavoro.

Ma la vicenda Apple si innesca in un quadro più ampio, sottolineando in maniera ironica il destino della casa di Cupertino di essere sempre, nel bene e nel male, all’avanguardia. Il caso è quello dei blog, i diari online, che raccolgono il pensiero e le notizie con uno stile dialogante e “medio” tra l’informalità  della chiacchiera da bar e la declamazione ufficiale dei giornali e della televisione. I blogger, questo popolo di centinaia di migliaia di volontari che scrivono pubblicamente conversazioni private e discorsi semi-pubblici, sono giornalisti?

Qui si innescano differenze sostanziali, sia nei termini del dibattito che dell’ordinamento della professione, con l’Italia e che, senza un chiarimento, rischiano di creare fraintendimenti di non poco momento al lettore del nostro Paese. In Italia, infatti, il retaggio culturale del Fascismo e della successiva legislazione per l’ordine nazionale dei giornalisti (che secondo quasi tutti gli autori si richiama allo spirito se non alla lettera delle Corporazioni) risolve altrimenti la questione. Ma negli Stati Uniti, dove non esiste un Ordine professionale dei giornalisti, si dibatte sei i blogger siano giornalisti oppure no. Attenzione, non se siano meglio i blogger fatti dai non giornalisti di quelli fatti dai giornalisti, facendo così riferimento (com’è stato per buona parte del dibattito italiano) al fatto che molti blog vengano aperti da giornalisti anche famosi.

Per gli americani, giornalista è chi giornalista lo fa, come direbbe Forrest Gump. Il giornalista è la persona che per professione, per guadagnarsi da vivere, scrive (racconta, dice, mima) notizie attraverso un mezzo di comunicazione e una testata indipendente, non partisan, che stia sul mercato e che raccolga le sue fonti di finanziamento o attraverso la pubblicità  o attraverso la vendita dei propri prodotti editoriali. Anni luce dal tesserino marrone dell’Ordine italiano. Tanto che parafrasando quanto diceva il giudice Potter Stewart circa la pornografia, “non ho una definizione di giornalista, ma se ne vedo uno lo riconosco”.

L’annuncio, quindi, che per la prima volta la Casa Bianca ha concesso il pass stampa giornaliero a un blogger, Garrett M. Graff, tocca dall’altro lato il cuore della vicenda. Sostiene lo stesso giovanissimo giornalista-free lancer (23 anni appena compiuti), che “i blog sono centinaia di migliaia, ma non tutti sono scritti da persone che fanno i giornalisti in quel momento. Però ce ne sono, almeno qualche migliaio”.

Il dibattito travalica i confini della giurisprudenza, dove peraltro la legislazione americana sta per fare i conti grazie al sistema giudiziario costruito sul concetto di precedente che fa stato con la sentenza sul caso Apple, ed ha applicazioni molto pratiche e concrete. Talmente concrete che un Paese come l’Italia, dove l’idealismo culturale e filosofico ha sempre rigettato al di là  del Tirreno il neopragmatismo angloamericano, la cosa passerà  in cavalleria tra mille dibattiti televisivi approssimativi e generici. La filosofia del giornalismo, professione accomunata alla politica nell’attuale stagione di sfortunata considerazione da parte dell’opinione pubblica, rimarrà  cosa da accademia mentre negli Usa si vedono chiaramente i sintomi di un rapido processo di metabolizzazione del problema. Ci vorranno mesi, forse un paio d’anni, e l’industria culturale e dell’informazione saranno pienamente consce del nuovo assetto dei media e dei meccanismi di negoziazione sociale dell’informazione. Dalle nostre parti, non tanto…

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