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Addio a John W. Backus, il papà  del Fortran

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Il gioco della vita è molto complesso, alle volte quasi insondabile in tutte le sue infinite regole e cavilli. E la storia, il libro attraverso il quale lo leggiamo, ha titoli approssimati e righe scritte in caratteri troppo piccoli perché si riescano a leggere con i nostri deboli occhi. Ma il nome di John W. Backus, uno dei pionieri della scienza informatica, deve restare scritto a caratteri dorati.

Il suo fu un ruolo fondamentale che la sua scomparsa, all’età  di 82 e dopo mezzo secolo dal suo lavoro, non deve far dimenticare. Perché fu lui e il suo lavoro svolto nei laboratori di Ibm a rappresentare una svolta per l’informatica. Tanto che prima di lui, prima di quel 1957 in cui venne rilasciata la prima versione del Fortran, praticamente la nozione di “programmare il computer” apparteneva ad un universo semantico completamente diverso da quello attuale.

Se il microprocessore infatti fu la svolta per quanto riguarda la realizzazione dei moderni hardware che portano dritti sino al personal computer e poi all’informatica pervasiva che sta entrando giorno dopo giorno nelle nostre vite sempre più in profondità , la stessa cosa si può dire dal punto di vista del software con il lavoro nato dopo l’introduzione del Fortran.

E’ stato il primo linguaggio di programmazione di alto livello ad avere successo. In pratica, il primo che abbia consentito ad esseri umani di programmare senza dover fare acrobazie in linguaggio macchina o in Assembly.

Fortran, cioè Formula Translator, un mix di notazione matematica e lingua inglese, permise di far nascere un ambiente dal quale, negli anni, sono nati gli altri progressi della scienza informatica. Nel 1969 l’invenzione di Unix nei laboratori Bell da parte di Ken Thompson e del suo team fu una svolta storica ma solo la conseguenza. E lo stesso Thompson affermava in una intervista che “il 95% delle persone che programmavano nei primi anni dell’informatica non sarebbero mai stati in grado di farlo senza il Fortran” e implicitamente il lavoro del suo autore John W. Backus.

Nel 1943 subito dopo gli studi, pur provenendo da una famiglia influente e ricca del centro degli Stati Uniti si iscrisse per il servizio militare in tempo di guerra. Ma i suoi test all’ammissione risultarono così alti da farlo inviare a spese del governo a studiare in tre differenti università . Dopo la guerra entrò ad Ibm, diventando in breve uno degli uomini chiave del progetto e soprattutto uno dei primissimi programmatori dell’azienda.

Ma dopo anni in cui la frustrazione di combattere quotidianamente con il linguaggio binario “parlato” dalla macchina, decise che prima di sviluppare più sofisticati software per il computer si sarebbe dovuto risolvere il problema della lingua con la quale parlargli. Ovvero, crearne una adatta ad essere intesa dall’uomo in maniera più semplice e tradotta da un apposito software (il compilatore) in un’altra più “binaria” capace di essere compresa dalla macchina.

Per arrivare al risultato rivoluzionario del Fortran, era necessario costruire un gruppo con le giuste caratteristiche. Nel caso di Backus, si trattò di mettere insieme una banda di “irregolari”, cioè un esperto in cristallografia, un crittografo, un mago degli scacchi, un ricercatore del Mit di Boston, una ragazza appena uscita dal Vassar College e un dipendente di United Aircraft.

Ancora in pochi hanno capito come ce la fecero, ma ce la fecero. Da queste menti eterogenee, coordinate da un talento assoluto della matematica come Backus e dalle intuizioni che cambiarono per sempre il corso dell’informatica, è nato il Fortran. E il nome di un uomo scomparso pochi giorni fa è stato destinato a rimanere scritto nei libri della storia.

Un’ultima nota: un pensiero di Backus circa l’innovazione. “Ci vuole una volontà  ferrea di fallire ogni volta. Bisogna generare tantissime idee e poi lavorare duramente solo per scoprire che non funzionano. E continuare ancora ed ancora sino a che non se ne trova una che funzioni. Questa è l’innovazione: un processo per approssimazioni successive”.

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