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In pensione Walt Mossberg, il giornalista che sussurrava a Steve Jobs

Era il giugno del 1970, praticamente 47 anni fa, quando – racconta il più famoso giornalista di tecnologia degli Usa, Walt Mossberg – entrava nella redazione locale di Detroit del Wall Street Journal. Era l’inizio di una carriera lunghissima e particolarmente fortunata, soprattutto nella parte in cui si è occupata di tecnologia, e che si concluderà tra poche settimane.

Mossberg va in pensione. Esce dalla scena una delle figure trasformative dell’informazione tecnologica. Mossberg non si è sempre occupato di computer. A lungo ha fatto il cronista di cose politiche, economiche, di cronaca internazionale. Ha coperto guerre, le attività del Pentagono, del Dipartimento di Stato, della Cia. Si è trovato a raccontare anche il collasso di una centrale nucleare e la sconfitta del comunismo, seppure sempre dagli Usa. Era insomma un cronista di razza del giornalismo “vero”, “alto”, quello che si occupa delle cose “serie”.

Poi, nel 1991, la svolta: “In quella che è stata la migliore decisione professionale della mia vita – scrive Mossberg – che annuncia l’uscita di scena (ma avverrà tra alcuni mesi) – mi sono trasformato in un giornalista tecnologico nel 1991. Come risultato, ho avuto l’opportunità di assistere a una parata storica di innovazioni rivoluzionare e straordinarie. Dai vecchi, lenti e goffi PC ai veloci e snelli smartphone, da CompuServe e la prima AOL al web mobile, alle app e ai social media”.

Nel ricordo di chi scrive, Mossberg è indissolubilmente legato ad Apple di cui è stato, assieme all’allora cronista del New York Times David Pogue, il più autorevole esegeta, con prove e editoriali che valevano come referti medici o pareri giudiziari. Ed è anche legato al ricordo di un uomo non alto, con capelli radi, bianchi e appuntito pizzetto ugualmente bianco, sempre vestito con camicie particolarmente “americane” nelle fantasie colorate della migliore scuola di tappezzeria, che si aggirava come cronista fra i cronisti, salvo pochi attimi dopo avere accesso immediato a Steve Jobs oppure aver già provato in segretissima anteprima i prodotti che venivano annunciati per la prima volta a noi comuni mortali sul palco del keynote di turno.

Mossberg, che Macityet aveva intervistato, ha rappresentato una lunga stagione del giornalismo tecnologico: dal 1991 a oggi ha attraversato non solo l’immaginario di molti dal podio autorevole del Wall Street Journal, con il quale aveva cambiato natura della relazione e non più da dipendente ma da imprenditore forniva contenuti legati alla tecnologia (e organizzava conferenze ed eventi, come All Things Digital), ma successivamente anche come editorialista per la sua creatura ReCode, poi messa assieme a The Verge sotto l’ombrello di Vox Media, gruppo editoriale digitale americano. Ma anche la Cnbc, e svariati altri gruppi e testate: Mossberg ha interpretato il difficile ruolo del giudice della tecnologia e al tempo stesso anche del giornalista libero, freelance e imprenditore di se stesso che ha saputo costruirsi una carriera al di fuori della copertura di un unico datore di lavoro, basando la propria autorevolezza solo sulla sua capacità di essere tale, cioè autorevole, nel corso degli anni. Il suo unico padrone, il pubblico. La sua voce, unica e originale.

Come non ricordare ad esempio la storica intervista sul palco di All Things D, con Steve Jobs e Bill Gates?

Tra pochi mesi, si chiuderà anche l’ultimo podcast e l’ultima column pubblicata su qualche importante sito del grande vecchio del giornalismo tecnologico americano, che ha avuto un ruolo chiave e strumentale nello sdoganare del giornalismo tecnologico, trasformandolo in qualcosa di serio, autorevole, importante, sensato e basato sui più alti standard della professione. Ci voleva un giornalista “vero”, di razza, per poterlo fare. Mossberg c’è riuscito perché è stato l’uomo giusto al momento giusto.

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