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Cos’è e a cosa serve il cloud sovrano

Una parola che ricorre molto spesso ma della quale purtroppo o non si conosce il significato oppure viene frainteso. Eppure, è un passaggio chiave per il Vecchio continente. È il cloud sovrano. Ce ne sono tanti tipi, ma quello europeo sfida i giganti americani del digitale anche se la strada verso l’autonomia tecnologica resta impervia. Il 2025 però potrebbe segnare la svolta. Vediamo di capire di che cosa stiamo parlando e che cosa sta succedendo.

La battaglia invisibile per il controllo dei dati

Il cloud sovrano rappresenta una delle sfide più complesse dell’era digitale in Europa. Si tratta di garantire che i dati di cittadini, imprese e istituzioni restino sotto il controllo giuridico e tecnologico del Vecchio continente. Non è solo una questione di server fisicamente localizzati in Europa. Il vero nodo sta nel controllo completo della filiera tecnologica, dalle infrastrutture al software, dalle chiavi crittografiche alla governance aziendale.

Il cloud computing è l’erogazione di servizi informatici attraverso internet: invece di avere server e software nei propri uffici, le aziende affittano capacità di calcolo, storage e applicazioni da fornitori esterni. Si distingue in tre livelli: IaaS (Infrastructure as a Service) fornisce server virtuali e spazio di archiviazione, PaaS (Platform as a Service) aggiunge strumenti di sviluppo e database, SaaS (Software as a Service) offre applicazioni complete come Gmail o Office 365. Quando parliamo di “cloud sovrano” intendiamo infrastrutture e servizi controllati da aziende europee, soggette solo alle leggi europee, senza possibilità di accesso da parte di governi o tribunali extraeuropei.

In che condizioni siamo adesso? Brutte: ecco i numeri di una dipendenza preoccupante. Le cifre parlano chiaro: Google, Microsoft e Amazon controllano l’80% del mercato cloud europeo. Secondo Eurostat, il 75,3% delle imprese europee risulta “fortemente dipendente” da servizi cloud difficilmente sostituibili. In alcuni paesi la dipendenza supera il 90%. Questa situazione espone dati sensibili di aziende e governi europei alla giurisdizione statunitense, con tutti i rischi che ne derivano per la sicurezza nazionale e la competitività economica.

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Il fallimento di GAIA-X e la rinascita con EuroStack

Il primo tentativo di creare un cloud sovrano europeo risale a una decina di anni fa con GAIA-X, iniziativa franco-tedesca naufragata anche per la partecipazione delle stesse big tech americane. Oggi il testimone passa a EuroStack, collettivo indipendente che in pochi mesi ha raccolto l’adesione di oltre 200 aziende ed enti. L’economista Cristina Caffarra, madrina del progetto, definisce “sconcertante” che l’Europa continui a preferire soluzioni non europee negli appalti pubblici quando esistono centinaia di aziende locali competitive.

L’Italia ha deciso di entrare in partita con Aruba. La svolta è significativa. Arriva dall’Italia quando Aruba diventa il primo cloud provider nazionale qualificato nei bandi Consip per servizi IaaS e PaaS alla pubblica amministrazione. “Siamo orgogliosi di coniugare avanguardia tecnologica, sicurezza e sovranità nazionale“, ha detto Francesco Fontana, direttore marketing di Aruba. Il Consorzio Cloud Italia plaude alla decisione che risponde alle “imprescindibili esigenze di sovranità e indipendenza del dato, assicurabili solo da provider nazionali“.

Questo cambiamento strategico da parte di migliaia e migliaia di aziende, ispirate dai governi europei, ovviamente non cade nel vuoto: i big tech non stanno a guardare mentre il loro mercato può potenzialmente restringersi o addirittura “evaporare”.

Microsoft ha annunciati il raddoppio dei data center europei entro il 2027, raggiungendo oltre 200 strutture nel continente. La multinazionale promette un “cloud europeo per l’Europa” con board di governance composti solo da cittadini dell’Unione europea. Intanto Google Cloud lancia soluzioni “sovereign” che permettono di decidere dove elaborare e archiviare i dati. Entrambe garantiscono di contestare richieste extraterritoriali di accesso ai dati, ma resta il dubbio sulla reale autonomia di soluzioni che mantengono la tecnologia core americana.

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Ecco SECA, standard aperto che può cambiare tutto

Se i big americani cercano di fare il loro gioco con delle concessioni che potremmo definire “tradizionali” o gattopardesche (alla fine non cambia nulla), la vera novità arriva da tre aziende europee, cioè Aruba, IONOS e Dynamo, che hanno lanciato SECA (Sovereign European Cloud API). Si tratta di uno standard aperto e gratuito per l’interoperabilità tra cloud provider europei. “Le API sovrane come SECA sono fondamentali per ridurre la dipendenza da fornitori extraeuropei“, dice Francesco Bonfiglio, CEO di Dynamo. Il sistema prevede rigorosi processi di certificazione che verificano l’immunità da interferenze legali di paesi terzi.

In pratica, SECA fornisce un’interfaccia standardizzata che permette alle piattaforme cloud di operare su una base comune utilizzando specifiche Open API. Questo vuol dire che un’azienda potrà spostare i propri dati e applicazioni da Aruba a IONOS senza dover riscrivere codice o modificare architetture. Il processo di certificazione verifica tre aspetti chiave: l’effettiva immunità legale da ordini esecutivi di paesi terzi, l’indipendenza delle catene di fornitura software dalla sfera extra-europea, l’aderenza agli standard delle specifiche API. Dynamo implementerà connettori basati su SECA per automatizzare il provisioning per tutti i provider compatibili della rete.

Invece, EuroStack punta a sostituire definitivamente GAIA-X come punto di riferimento per il cloud europeo. A differenza del predecessore, esclude per statuto la partecipazione di aziende extra-UE nelle decisioni strategiche. Germania e Francia hanno già formalizzato il supporto al progetto, mentre la Commissione europea mantiene una posizione attendista citando i vincoli sulla libera concorrenza. L’Italian Tech Alliance e Confimi Industria Digitale rappresentano l’Italia nel consorzio insieme ad aziende come Cubbit, ExpertAI e Seeweb. L’obiettivo è creare massa critica per influenzare le politiche europee sugli appalti pubblici.

Tutto questo forse al cittadino non cambia niente: continuiamo a mettere le nostre mail sui server di Google e i nostri documenti di testo su quelil di Microsoft, i nostri dati dell’iPhone in quelli di Apple (mentre tutto il resto va su quelli di Amazon). Invece, sono gli appalti pubblici che funzionano come leva strategica. Mario Draghi al simposio Cotec di Coimbra ha indicato la strada: “Creare un cloud strategico europeo che garantisca la sovranità dei dati in settori critici“. EuroStack propone di inserire l’obbligo di tecnologie europee nei bandi pubblici, seguendo il modello americano del “Buy American Act“. La Commissione europea resta cauta sui vincoli alla concorrenza, ma Francia e Germania hanno già espresso sostegno formale all’iniziativa.

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Foto di Growtika su Unsplash

Le sfide economiche e l’European Data Act

Il mercato cloud europeo cresce del 21,3% annuo ma il gap con Stati Uniti e Cina resta ampio. La frammentazione in 27 mercati nazionali penalizza le economie di scala. Le competenze migliori, i programmatori geniali, emigrano all’estero (Donald Trump permettendo) verso le big tech che offrono stipendi irraggiungibili per le aziende europee. Dal punto di vista tecnologico, i costi di migrazione da un provider all’altro scoraggiano molte imprese dal cambiare fornitore. È un circolo vizioso, difficile da rompere senza un massiccio intervento pubblico.

Il 2025 è l’anno cruciale per la sovranità digitale. L’entrata in vigore dell’European Data Act a settembre 2025 potrebbe segnare una svolta. La normativa favorirà lo scambio fluido di dati tra settori e aumenterà il controllo dei clienti sui propri dati. OVHcloud annuncia un nuovo data center a Milano entro fine anno. T-Systems, S3NS, Minsait e altri partner locali si preparano a offrire tecnologie americane su infrastrutture europee con maggiori garanzie.

È una vera e propria corsa contro il tempo. La partita del cloud sovrano europeo si gioca su più tavoli: tecnologico, economico, normativo e geopolitico. La Brexit e poi gli accordi con il Regno Unito da un lato e “l’impazzimento” dell’America di Donald Trump super-protezionista dall’altro giocano un ruolo enorme. L’Europa ha le competenze e le risorse per costruire un’alternativa credibile ai giganti americani. Manca ancora una visione politica unitaria, i colossi tech e gli investimenti adeguati alla sfida. Il rischio è rimanere intrappolati in una dipendenza tecnologica che compromette autonomia strategica e competitività economica del continente per i prossimi decenni.

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