Non sono giorni facili quelli che sta vivendo Tim Cook. Il caso App Store e la vittoria (anche se temporanea) di Epic, le batoste subite in Europa, i ritardi dell’intelligenza artificiale, il primato in Cina che si sgretola e ora anche gli attacchi del Presidente USA Donald Trump che non molla sull’idea, per molti balzana, di far tornare la produzione di iPhone negli Stati Uniti.
Trump contro Apple: dal Medio Oriente ai dazi
Quel che sta accadendo nelle relazioni tra Apple e il presidente degli Stati Uniti è al centro di un articolo pubblicato dal New York Times che racconta proprio di come il rapporto tra Tim Cook, CEO di Apple, e Donald Trump stia attraversando una fase di rapido deterioramento. Il racconto di Tripp Mickle, il giornalista che per il foglio newyorkese si occupa più di altri delle vicende Apple, parte da un episodio inedito: il rifiuto da parte di Cook a partecipare al recente viaggio ufficiale del presidente in Medio Oriente.
Il diniego ha irritato Trump tanto che, durante gli eventi, Trump ha pubblicamente elogiato altri leader tecnologici, come Jensen Huang di Nvidia — “Tu ci sei, Tim Cook no”. Un attacco che è stato poi seguito, sempre durante lo stesso viaggio, dal ben noto “veto” a Cook di costruire gli iPhone in India: “Ho avuto un piccolo problema con Cook. Non voglio che tu costruisca in India, gli ho detto, voglio che tu costruisca negli Stati Uniti”.
Poi, venerdì, la minaccia di introdurre dazi del 25% sugli iPhone prodotti fuori dagli Stati Uniti. Quasi una tassa “ad personam”, anche se poi Trump ha detto che lo stesso dazio colpirà chiunque altro, in particolare Samsung e Google, non costruisca in USA.
Cook sotto pressione: diplomazia e promesse
Cook fino a pochi giorni fa era considerato il CEO della Silicon Valley più vicino ed ascoltato da Trump, tanto da essere stato accusato di sfruttare questa vicinanza per ottenere favori specifici. In effetti Cook in passato è stato in grado di influenzare il governo americano.
Ora però, come spiega Nu Wexler, ex dirigente della comunicazione politica di Google e Facebook, la relazione pubblica tra Cook e Trump ha messo Apple in una posizione difficile: ogni mossa è osservata e ogni tentativo di mediazione viene scrutinato, e Trump ha più incentivi ad attaccare Apple per guadagnare consenso politico che a concedere deroghe o accondiscendere alle richieste del CEO.
Cook anche recentemente ha provato a continuare sulla via diplomatica: pochi giorni fa ha incontrato a Washington il segretario al Tesoro Scott Bessent, il quale in risposta è andato in TV a dire che la produzione estera di semiconduttori e componenti elettronici rappresenta “una delle più grandi vulnerabilità” per l’America.
Una strategia rischiosa per Apple
Cook ha anche promesso che Apple investirà 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi quattro anni, acquisterà 19 miliardi di chip americani e avvierà la produzione di server AI a Houston. Ma, come sottolinea il New York Times, questi sforzi non soddisfano Trump: ciò che davvero vuole è vedere gli iPhone costruiti sul suolo americano.
Anche se, dal punto di vista puramente economico, Cook potrebbe trovare più conveniente continuare a costruire gli iPhone in Cina e semplicemente aumentare i prezzi al consumo per compensare i dazi, Trump ha sempre la possibilità di alzare ancora di più la posta, rendendo insostenibile questa strategia.
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