Poi non dite che non vi avevamo avvertito. Con il crescere dell’importanza della sicurezza informatica, aumenta anche la richiesta di un tipo di sicurezza che potremmo definire “fisica”. I sistemi cosiddetti biometrici servono infatti a realizzare non la protezione di un firewall o di un antivirus, ma a rendere per esempio l’accesso al computer impossibile anche a chi conosce la password se non ha l’impronta digitale giusta per azionare il riconoscitore digitale.
Ecco, se ne fa un gran parlare di queste cose. E spesso a sproposito, come sovente capita nel settore della sicurezza informatica. Per esempio, il tema dell’impronta digitale è un esempio che si presta bene a spiegare come stanno le cose. Il sistema biometrico si basa su di un sensore-scanner che “legge” il dito indice o pollice e, dalla scansione, estrae un modello da confrontare con quello presente nella sua memoria. Se i due modelli combaciano, l’autorizzazione c’è e la macchina funziona. Altrimenti, rimane spenta.
Il problema è che si tratta pur sempre di un sensore che elabora dei dati. E come tale, perciò, può essere ingannato. Con una impronta digitale di lattice, generata magari a partire dal calco ricavato da una originale del proprietario del computer, dopo un rilevamento e una rapida “incisione” su di un supporto gommoso della stessa.
Fatta la macchina, trovato l’inganno, si potrebbe dire. Per chi si voglia divertire ad approfondire l’argomento, a partire da questa pagina è possibile scaricare una tesi di dottorato che si pone proprio questo problema. Quanto è sicura una forma di autenticazione basata sul rilevamento delle impronte digitali? Poco o niente, se chi vuole forzarlo è abbastanza determinato ed ha a disposizione gli strumenti tecnologici per farlo.