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Per Microsoft bisogna cambiare gli store: quelli degli altri

Verrebbe da citare quel vecchio libro di George Orwell, La fattoria degli animali, in cui: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”. Non è una citazione esatta, ma fa capire il ragionamento di Microsoft nella saga degli app store e le nuove regole di cui abbiamo parlato qui. Ricapitoliamo un attimo le premesse, e vediamo poi cosa dice Microsoft e perché.

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La guerra degli store

I fatti sono semplici: Apple ha praticamente inventato il concetto moderno di App Store su iPhone e all’epoca (2008) Steve Jobs aveva previsto una “tassa” del 30% per vendere le app a pagamento in maniera esclusiva (senza altra possibilità di installarle o usare altri metodi di pagamento). Per anni è andato bene, il valore aggiunto di partecipare alla piattaforma nascente ha liberato la competitività dei piccoli sviluppatori, aperto un mondo, reso la vita molto più facile per chi utilizza il sistema.

Poi sono cominciati i malumori degli sviluppatori da un lato e la pressione degli antitrust (e dei regolatori in generale) in varie parti del mondo. Il tema è, sostengono i critici, che questo sistema “blocca” la piattaforma e fa guadagnare ingiustamente soldi ad Apple. Una “tassa” insopportabile ottenuta tramite l’esercizio del potere monopolistico di chi controlla verticalmente la piattaforma. Ci sono state le cause tentate da Epic Games, gli antitrust si sono mossi come dicevamo, e i vari mal di pancia degli sviluppatori che nel complesso hanno fatto cambiare i livelli delle tasse e aprire parzialmente ad altri tipi di pagamento.

È un settore complesso, è facile non capirci molto perché molte delle dinamiche riguardano l’aspetto business-to-business e non quello con i consumatori. È vero che la piattaforma di Apple è molto diffusa (ma quella Android lo è di più, e infatti anche loro hanno problemi simili pur ammettendo il sideloading che però compromette l’integrità e la sicurezza dei dispositivi e viene rifiutato da Apple) ma è anche vero che sembra di sentire i litigi commerciali tra una catena di supermercati e i produttori di scatole e scatolette da mettere in vendita. Appassionante praticamente zero.

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Gli interessi degli altri

Qui entra in gioco Microsoft. Che si è schierata apertamente con Epic Games durante la causa poi vinta da Apple e che comunque ha una posizione molto chiara: per Microsoft lo store non deve essere esclusivo e gli sviluppatori devono essere liberi. Questo, si capisce, deriva anche dal fatto che Microsoft non ha una piattaforma smartphone e che quella Windows ha sviluppato un suo store soprattutto per dare gambe alla versione Arm del suo sistema operativo, ma con scarso successo. Le conviene aprirlo, altrimenti non ci va nessuno. Fa anche sorridere la parte in cui Microsoft rivendica la autonomia degli sviluppatori dopo che per decenni ha piallato interi settori commerciali con i suoi prodotti (a partire da Office sino ai servizi server per la posta e i calendari, la condivisione di documenti, la gestione delle chat e della messaggistica).

Adesso però la cosa diventa paradossale con gli Open App Store Principles (ne abbiamo dato notizia inizialmente qui), che sono quello che verrà applicato da Microsoft al suo Microsoft Store su Windows e ai marketplace di prossima generazione per il gaming. Perché Microsoft non ha solo lo store per Windows: ha anche quello titanico di Xbox, che compete su un hardware chiuso contro altri soggetti con delle console ad hardware chiuso (Sony e Nintendo). Che dopo l’acquisizione di Activision Blizzard diventa semplicemente titanico. E qui c’è la sorpresa: Microsoft dice che gli store devono essere aperti e lasciare spazio agli sviluppatori però solo su quello per PC. Invece, per console bisogna seguire le regole più strette possibili.

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La grande eccezione secondo Microsoft

È il presidente Brad Smith a elencare gli 11 principi dello Store aperto, tutti belli e molto liberali. Però non si applicano ancora e per il prossimo futuro per la Xbox. Perché, dice Smith, ancora non è il momento: “Alcuni potrebbero chiedersi perché i principi di oggi non si applicano immediatamente e all’ingrosso all’attuale negozio di console Xbox. È importante riconoscere che si sta scrivendo una legislazione emergente per indirizzare gli app store su quelle piattaforme che contano di più per creatori e consumatori: PC, telefoni cellulari e altri dispositivi informatici generici.

Per milioni di creatori in una moltitudine di aziende, queste piattaforme funzionano come gateway ogni giorno per centinaia di milioni di persone. Queste piattaforme sono diventate essenziali per il nostro lavoro quotidiano e la nostra vita personale; i creatori non possono avere successo senza accedervi. La legislazione emergente non viene scritta per dispositivi informatici specializzati, come le console di gioco, per buoni motivi. Le console di gioco, in particolare, vengono vendute ai giocatori in perdita per creare un ecosistema solido e praticabile per gli sviluppatori di giochi. I costi vengono recuperati in seguito attraverso le entrate guadagnate nel negozio di console dedicato”.

Insomma: mentre ci sono regole liberali scelte dalle aziende come Microsoft e altre regole antimonopolistiche comuni che vengono scritte a livello statale e che stanno calando sugli store usati da milioni di utenti e dove centinaia di migliaia di sviluppatori caricano i loro software, dall’altro lato il tutto non si applica per lo store Xbox perché è una nicchia e le console vengono vendute in perdita (a differenza dei telefoni e dei computer), il guadagno c’è sui giochi.

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Come stanno le cose

Alcune valutazioni su questo punto. Cominciamo dalla logica di quello che guadagna e quello che perde soldi: non è un criterio discriminante anche perché non è un criterio applicabile in maniera coerente. Microsoft con Xbox e Sony con Playstation vendono le console sottocosto (quindi in perdita) per fare mercato e vogliono recuperare con il controllo della piattaforma chiedendo una tassa oltre a decidere quali giochi possono essere venduti e quali no. Però Nintendo, che applica le stesse politiche (e vende addirittura i giochi su cartucce che produce lei in esclusiva, vendendole in prima battuta a caro prezzo ai produttori dei giochi) ha un guadagno netto per ogni console venduta. Come dire: se Microsoft e Sony vendono sottoprezzo è una loro scelta, non una regola insuperabile di mercato.

Altro caso: gli smartphone. Non è vero che tutti i produttori guadagnano dagli smartphone. Ad esempio, Google vende i suoi Pixel in perdita. Lo fa per aumentare il controllo sul mercato. Apple guadagna molto dalla vendita dei suoi iPhone (i margini sono alti) ma la maggior parte dei produttori ha margini molto più ristretti e capita di frequente che vengano commercializzati telefoni con marginalità praticamente nulla.

E le stampanti? Vengono vendute a prezzi bassissimi ma con un controllo assoluto da parte di alcuni produttori sulle ricariche dell’inchiostro (inkjet o laser) che può essere solo quello originale.

Le aziende fanno benissimo a difendere i propri interessi, ovviamente, ma è un po’ surreale vedere Microsoft spingere per l’apertura su tutte le piattaforme tranne le console di gioco  che, guardacaso, sono  l’unico mercato in cui lei stessa possiede e controlla una piattaforma completamente chiusa. Questo fa pensare che quella di Microsoft sia una difesa della libertà molto pelosa e opportunistica, o per meglio dire, fa pensare che tutti gli animali sono uguali, ma alcuni in questo caso sono più uguali di altri.

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