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I migliori racconti brevi e minimalisti made in USA

Nella nostra epoca in cui chiunque può usare ChatGPT per riempire Internet di parole, milioni di parole, c’è una forma di letteratura che invece conta tantissimo sulla capacità di misurarsi, di essere realmente minimalista. È una letteratura trasversale, basata più su un modo che non su generi o tematiche particolari. E che è frequentata soprattutto negli Stati Uniti, tanto che questo primo percorso esplorativo abbiamo voluto centrarlo proprio su quel Paese.

Ma questa letteratura minimalista, fatta di narrazioni asciugate e ripulite sino all’osso, è una letteratura che sa dare grandi soddisfazioni al lettore. Soprattutto oggi, in un’epoca in cui le cose o sono lunghe e “montate” come la panna, o ridotte a delle lunghe liste di fatti e di cose. Invece, un’altra scrittura e quindi un’altra letteratura è possibile.

Qui trovate tutti gli articoli con i Migliori libri di Macity raccolti in un’unica pagina.

I migliori racconti brevi e minimalisti made in USA


I quarantanove racconti

Come si fa a cominciare una raccolta dei migliori libri di autori minimalisti americani se non si comincia con questa raccolta straordinaria di Ernest Hemingway? Accanto a un gruppo di storie che hanno per protagonista l’alter ego di Hemingway, Nick Adams, spiccano in questa raccolta alcuni racconti dall’architettura perfetta, fra cui “Le nevi del Kilimangiaro”, “La breve vita felice di Francis Macomber” e “Colline come elefanti bianchi”, nei quali risalta lo stile asciutto e rigoroso dello scrittore, capace di dare risonanza all’esperienza individuale senza perdere il contatto con gli elementi della realtà che la fondano. “I quarantanove racconti”, pubblicati nel 1938, sono stati considerati fin dal loro apparire una delle opere fondamentali di Ernest Hemingway, forse il punto più alto e rappresentativo della sua inconfondibile tecnica narrativa.

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Vuoi star zitta, per favore?

La parte del leone però la fa un altro autore: Raymond Carver. Per meglio dire: Raymond Clevie Carver Jr., nato il 25 maggio 1938 e scomparso per un tumore al polmone a soli 50 anni il 2 agosto 1988. Dopo anni di duro apprendistato, nel 1976 Carver arriva alla pubblicazione, e viene subito riconosciuto come un grande maestro della forma breve. Drammi quotidiani, inferni domestici, angoli dimenticati di un’America alla deriva: le storie di Carver sprigionano un senso di tensione e di minaccia e raccontano la precarietà economica e degli affetti con una forza lacerante. Scrive R. Ford: “Un senso pesante di spavento aleggia in queste storie: gente che se la sta passando male; uomini che bevono troppo; mariti che fanno a botte con le mogli e mogli che lasciano i mariti. C’è morte, rovina, abbandono, gente sgradevole che si presenta alla porta di casa con ogni sorta di notizie sgradevoli. La vita è una cosa seria, in questi racconti. E qui non c’è altro che vita”. La raccolta comprende storie come “Grasso, Vicini, Creditori” e “Nessuno diceva niente”, oltre al racconto che da il titolo al libro e che fu messo in scena da Altman in “Short Cuts”.

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Da dove sto chiamando

Educato dal suo maestro John Gardner e domato dal suo editor Gordon Lish, Carver è una specie di mostro del racconto breve. L'”autoantologia” voluta da Carver nel 1988, poco prima della morte, presenta nella versione scelta e curata dall’autore racconti appartenenti a tutto l’arco della sua produzione, da quelli del libro d’esordio “Vuoi star zitta per favore?” ai sette “nuovi racconti” di “Elephant”. Permette così al lettore di scorgere forse nel modo più compiuto possibile gli orizzonti narrativi che si richiamano da un punto all’altro dell’ormai leggendaria “Carver Country”. C’è ovviamente la coppia, fotografata nei suoi vari istanti, sovente nelle diverse fasi di una crisi: come in “I chilometri sono effettivi”; nel momento stesso di una separazione annunciata da una lettera dalla calligrafia “irriconoscibile”, come in “Pasticcio di merli”. Le donne e gli uomini carveriani si trovano di fronte, all’improvviso e forse quasi senza accorgersene, alla resa dei conti con il sogno americano di provincia. Oppure a raggiungerli è un’eco di violenza: quella del reduce nero di “Vitamine”, che come amuleto porta con sé l’orecchio rinsecchito di un vietcong, l’esplosione di aggressività repressa di un padre mite in “Biciclette, muscoli, sigarette” o l’ottusità inquietante del protagonista di “Con tanta di quell’acqua a due passi da casa”. O ancora, è l’alcol a scandire le giornate di molti di loro, in racconti come “Un’altra cosa”, “Attenti”, “Da dove sto chiamando”.

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Principianti

Com’era veramente Raymond Carver? Come scriveva prima che il suo editor Gordon Lish lo trasformasse radicalmente. Questa è l’occasione per scoprirlo. La mattina dell’8 luglio 1980 Raymond Carver scrisse una lettera angosciata e confusa all’amico ed editor Gordon Lish, che gli aveva appena mandato il manoscritto rivisto di una nuova raccolta di racconti, “Principianti”. Di alcuni di questi Lish aveva tagliato il settanta per cento, riducendo nel complesso il libro della metà e cambiando molti titoli e finali. La raccolta ora si chiamava “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”. Carver implorava Lish di sospendere la pubblicazione del volume e ripristinare i passi tagliati. Ma Lish andò avanti per la sua strada. Carver era certamente spaventato dalla prospettiva della pubblicazione, ma altrettanto dall’idea di perdere la stima e l’affetto dell’editor che l’aveva scoperto e aiutato fin dall’inizio della sua carriera. Così si convinse ad accettare l’editing, e la raccolta usci nella forma che Lish le aveva dato, nell’aprile 1981. A quasi trent’anni di distanza, oggi si legge la versione originale di quei racconti per scoprire uno scrittore molto diverso da quello conosciuto. Dove Lish era intervenuto a interrompere una scena prima che raggiungesse la massima intensità, Carver l’aveva lasciata esplodere lentamente. Dove Lish sfoltiva i dialoghi o zittiva del tutto i personaggi, Carver aveva aspettato che arrivassero all’ultima parola. Con una scelta di lettere Raymond Carver a Gordon Lish.

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Cattedrale

La durezza della vita. A volte anche una visita inattesa e poco gradita – quella di un amico cieco della moglie, per esempio – può smuovere emozioni dimenticate. E cosi, infatti, che il narratore del racconto che dà il titolo alla raccolta – forse il più celebre di Carver e uno dei più amati dall’autore – finisce per passare quasi senza rendersene conto dall’iniziale ostilità condita di gelosia al momento di una piccola rivelazione. È un personaggio carveriano a tutti gli effetti, l’anonimo protagonista del racconto: sottilmente alla deriva, privo di amici, inchiodato in un lavoro che detesta, con una moglie da cui forse si sente un po’ trascurato. Eppure, è proprio la presenza ingombrante del cieco Robert a costringerlo a uscire dalla sua corazza e abbozzare un rapporto umano, una condivisione che gli permetterà di recuperare, forse, una parte di sé dimenticata. Carver ne segue l’impercettibile evoluzione con naturalezza, con uno stile maturo e consapevole dei propri mezzi, da lui stesso definito “più pieno e generoso”. Se “Cattedrale” chiude la raccolta su una tenue nota positiva, nel resto del libro prevalgono i toni desolati, i fragili equilibri pronti a spezzarsi in conseguenza di eventi all’apparenza secondari: un nuovo trasloco in “La casa di Chef”, l’atto mancato di una riconciliazione impossibile in “Lo scompartimento”, l’inizio di una crisi senza apparenti vie d’uscita in “Vitamine”, in cui nella deriva personale fa irruzione la violenza della storia.

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Tutte le poesie. Teso inglese a fronte

Raymond Carver non è stato solo uno scrittore di racconti minimalisti e fulminanti, ma anche uno straordinario poeta. In un unico cofanetto, una raccolta che include tutte le poesie di Carver. Un’occasione per celebrare un grande scrittore che, in prosa e in versi, ha saputo raccontare con verità, economia di stile e profondità di sguardo il mondo degli ultimi, dei reietti, dei senza riscatto. «E hai ottenuto quello che / volevi da questa vita, nonostante tutto? / Sì. / E cos’è che volevi? / Potermi dire amato, sentirmi / amato sulla terra». Con questo frammento poetico, nel 1988, Raymond Carver prendeva congedo dal mondo. E i versi, insieme alla prosa cristallina dei suoi racconti, ai saggi, ai ricordi personali, hanno costituito fin dagli esordi la sua cifra, scandendo una ricerca letteraria che nella brevità, nella sintesi, nella sottrazione, nelle minute epifanie del quotidiano ha trovato la sua chiave. Nei due volumi di questo cofanetto è presente la sua intera opera poetica. Un’occasione unica per imparare a conoscere, anche al di là delle tre raccolte che lo hanno reso celebre, le tante forme diverse che Carver ha utilizzato per raccontare se stesso, il suo mondo, i personaggi stralunati e sconfitti che lo popolano.

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Il mestiere dello scrittore

John Gardner fu uno scrittore di un certo successo (soprattutto con il bellissimo “Grendel”, la riscrittura del poema epico “Beowulf” dal punto di vista di quest’ultimo) ma soprattutto fu insegnante di scrittura creativa. Sino alla morte prematura a 49 anni per un incidente di moto la sua idea di cosa sia uno scrittore e come sia uno scrittore ha formato legioni di autori, tra cui Raymond Carver. In stile diretto, Gardner affronta i problemi del mestiere di scrittore e non quelli del talento, le nevrosi quotidiane e non quelle del genio. Con esempi, citazioni e suggerimenti affronta i problemi pratici della scrittura: la resa degli effetti, la necessità di revisioni, la punteggiatura, l’interazione necessaria con la figura dell’editor. Gardner si assume il rischio di incoraggiare i giovani scrittori, ma con una riserva, che dà ironica misura della sua coscienza del problema e che consiste nel non dare a per scontato che lo scrittore non debba imparare anche le regole fondamentali dell’ortografia.

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Gelide scene d’inverno

Chi meglio di Ann Beattie per raccontare la vita e il mondo? Minimalismo femminile allo stato puro. Beattie, autrice di culto negli Stati Uniti e capofila della corrente minimalista, è tuttora considerata una delle più grandi maestre della short story americana. “Gelide scene d’inverno”, il romanzo con cui esordì nel 1976, racconta la storia del giovane Charles, impiegato in un ufficio statale, ossessivamente innamorato di Laura – la donna con cui ha avuto una storia ma che ha preferito tornare al quotidiano ménage col marito – e circondato da una famiglia disfunzionale (la madre squilibrata, il patrigno pieno di buone intenzioni ma irrecuperabilmente mediocre): è il ritratto di un’America disillusa, che ha visto svanire l’ebbrezza visionaria degli anni Sessanta e di Woodstock e deve fare i conti con la propria desolata normalità. Un “Grande freddo” senza concessioni al romanticismo, una scrittura penetrante e non priva di ironia capace di dipingere un’epoca e una situazione sociale che a distanza di quarant’anni mantengono intatta la propria forza di suggestione: l’inverno americano della Beattie è innanzitutto, per qualunque lettore, un luogo dell’anima.

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Meno di zero

Amatissimo in Italia, sicuramente se si legge quel che scrive si può dire una sola cosa di Bret Easton Ellis: è uno che non sta bene. Il romanzo di Ellis ha il ritmo di un video clip, la durezza dello slang giovanile alto-borghese e la forza della rivelazione. In scena c’è un gruppo di giovani e giovanissimi di Los Angeles, tutti biondissimi e abbronzatissimi, tutti viziati, ma in realtà trascurati da genitori infelici, depressi o assenti. Questi ragazzi, in vacanza prima della riapertura dei college, sperimentano tutto quello che la città offre: sesso facile, spinelli, cocaina, feste sempre più particolari, in un crescendo di amoralità e devastazione interiore che sconfina presto nell’orrore.

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Niente canzoni d’amore

La vita alle volte è molto particolare. Nel caso di Charles Bukowski, la vita è incredibilmente particolare. Ventuno racconti di vita, di sesso, di naufragi metropolitani in un’America emarginata e disperata Scrivere è «uno dei modi più belli di passare la notte che mai sia stato inventato», specialmente se lo si completa con un paio di bicchieri di vino. Con questa affermazione termina «Scrittori», uno dei ventuno racconti riuniti in questa raccolta, dove, Bukowski, ancora una volta, fissa brandelli di una vita americana disperata e randagia. Una vita fatta di sbornie occasionali, sesso promiscuo, lavori precari, espedienti d’ogni genere; una vita che, in queste storie di solitudine e di emarginazione, appare sempre come una beffarda presa in giro dei desideri umani e che, pur maledicendo l’onnipotenza del caso, vi soccombe senza opporre resistenza.

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Nove racconti

Un minimalismo antico, oggi quasi dimenticato dell’autore di uno dei libri più famosi di sempre. Se le avventure di Holden hanno avuto per l’America un valore emblematico, è in questi racconti che lo humor, la spietatezza, la grazia e la tragica amarezza di Salinger trovano la loro perfetta espressione. Il loro punto di partenza è il “parlato” più colloquiale e modulato sulle effimere cadenze della moda. Per Salinger solo i bambini e chi ha vissuto l’orrore della guerra è vicino alla verità. Il dialogo dei bambini è una finestra su una realtà diversa e vertiginosa. Ma anche una conversazione pomeridiana tra amiche o la telefonata di un uomo che è a letto con una donna non sua diventano occasioni di poesia, nutrita di grande pietà umana.

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A letto, bambini! e altre storie

Come sempre per questa serie di libri dei migliori di Macity, una sorpresa finale. La signora Mirtilla è orgogliosa dei suoi elettrodomestici che sono moderni, splendenti e iperefficienti. Ma questi, un giorno, protestano: ognuno pensa di svolgere al meglio il lavoro dell’altro. La Lavatrice vuole sfornare un pan di Spagna, il Frullino vuole stirare le camicie, il Tostapane produrre ghiaccioli e la Caffettiera il gelato… In un attimo la cucina va in tilt. Max è un ragazzo felice, se non fosse che desidera più di ogni altra cosa al mondo un vestito, un vestito solo, però buono per tutte le stagioni e per tutte le occasioni. Ma un giorno il postino bussa alla porta per consegnare un pacco… Nei versi fantasiosi di “A letto, bambini!” i più piccoli scopriranno con sorpresa che il lettino non è solo morbido, pulito, ben rincalzato e perfetto per sognare, ma può essere anche un posto davvero speciale. Conosciamo Sylvia Plath per le sue poesie, ricche di immagini e di metafore, ma quanti sanno dei suoi libri per bambini? Queste tre storie dalla prosa semplice e dolcemente ironica, tradotte da Bianca Pitzorno, sono impreziosite dalle immagini di Carlo Muñoz, di Rotraut Susanne Berner e di Quentin Blake che illustrò la leggerezza dei versi di “A letto, bambini!” già nella prima edizione inglese.

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