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SIAE, aumentano del 500% le quote smartphone e tablet per copia privata

La SIAE ci riprova e chiede al Governo di aumentare il già poco popolare equo compenso per copia privata, ossia la “tassa” che la Società Italiana degli Autori ed Editori costringe ad applicare alla maggior parte dei dispositivi fisici che potrebbero essere in grado di generare copie di contenuti multimediali protetti da copyright.

Notizie sui propositi della Siae erano rimbalzati nei giorni scorsi quando era apparso un emendamento alla legge di stabilità proponeva un “adeguamento alla media europea del compenso”, emendamento firmato da quattro deputati Pd: o Franco Ribaudo, Magda Culotta, Antonino Moscatt e Lilliana Ventricelli. Ora si apprende che questo emendamento, come scrive Corriere della Sera sarebbe stata la stessa SIAE a fare tutto da sola, auto-aggiornandosi le quote, calcolando una media europea, da cui ovviamente sono stati esclusi i paesi europei dove non esiste la tassa, come la Gran Bretagna,  ed andando ad applicare un nuovo compenso a seconda della tipologia del dispositivi coinvolto. La Siae, magnanimamente, ha diminuito il, compenso su un vasto numero di dispositivi come videoregistratori, telefonini non “smart”, registratori a nastro, peccato che questi prodotti siano ormai venduti prevalentemente sui mercatini di antiquariato invece che nei negozi di elettronica dove invece ora sono molto venduti i TV smart che infatti ora figurano tra i nuovi dispositivi che invece vengono “beneficiati” dalla tassa

Le cifre adeguate sarebbero di 5,20 euro per ogni smartphone, 5,20 euro per ogni tablet (dove oggi è di 50 centesimi), circa 5 euro per le TV con funzioni di PVR (personal video recorder) e 6 euro per i computer, ovvero tutti dispositivi che in un modo o nell’altro potrebbero essere in modo di generare copie private di contenuti acquistati in precedenza. L’applicazione di questa nuova tassa, che vale un terzo dell’intero bilancio della Siae e che in qualche caso aumenta anche del 500% l’attuale tassa, secondo la logica comune farà aumentare i costi al dettaglio, ma la SIAE contesta proprio questa logica usando l’esempio di iPhone: secondo la SIAE il fatto che iPhone costi più in Italia che in altri Paesi europei, dove la tassa per l’equo compenso sarebbe più alto, è la dimostrazione di quanto poco incida l’equo compenso sul prezzo finale. La citazione di iPhone è in un documento stilato da Luca Scordino, consigliere di gestione SIAE, in risposta ad un intervento di Gianfranco Giardina su Radio 24, dove era state espresse numerose critiche all’aggiornamento dell’equo compenso per copia privata:

è sufficiente visionare i dati (disponibili a tutti e dunque conoscibili con un minimo di diligenza) per comprendere che in Italia il prezzo degli smartphone è più alto di ogni altro paese comparabile ancorché il compenso per la copia privata sia enormemente più basso

siae iphone 5s

Sempre nel documento, Scordino sostiene che il valore intrinseco di uno smartphone dipenda essenzialmente dall’attività creativa di chi i contenuti li crea e li mette a disposizione degli utenti; i record di fatturato di Apple e Samsung sono da attribuire anche agli artisti, dei quali SIAE si erge a tutela e “forse questi signori dei record su record di profitti potrebbero finalmente pagare in modo più adeguato chi quei profitti glieli fa fare” e conclude affermando che “senza autori e senza creatività (e di tutte le categorie, musica, teatro, lirica, radio, televisione, cinema, arti figurative, letteratura e così via) non c’è smartphone che tenga. Resterebbero semplicissimi “phone”, utilissimi per telefonare, ma per i quali nessuno spenderebbe 600 o 700 euro a botta”.

Senza entrare nel merito specifico della polemica e le ragioni per cui iPhone in Italia costa di più che altrove (argomento al quale abbiamo dedicato un articolo che dovrebbe essere piuttosto chiaro al proposito) è doveroso notare come ormai il concetto stesso di “equo compenso per copia privata” inizi a risultare in buona parte anacronistico: la maggior parte dei contenuti multimediali disponibili attraverso smartphone, tablet e computer inizia ad essere fruibile (e soprattutto fruito) direttamente in streaming and on-demand, con meccanismi ed estensione di disponibilità tali da non concedere e nemmeno richiedere un’eventuale copia come necessaria.

Con un abbonamento a Spotify o a Infinity TV non è né possibile né necessario (se non attraverso strumenti tipici della pirateria) effettuare copie private dei contenuti multimediali, una tassa che dunque sembra appartenere sempre più ad un passato già trascorso piuttosto che ad una reale esigenza presente che vada oltre alla necessità di batter cassa.

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