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Macintosh, 40 anni di rivoluzione Apple sulle spalle di un gigante

Anni fa un sito americano, intitolato “The Cult of Mac” (Il culto del Mac), del bravo giornalista Leander Kahney, cominciò a pubblicare storie e notizie relative al folklore attorno alla piattaforma più famosa di casa Apple, almeno al momento. Kahney aveva avuto un’ottima idea di business, che sfruttò ampiamente anche con il suo “The Cult of iPod”, ma era in anticipo con i tempi.

La sua idea di “culto della mela”, con l’iconica immagine di un giovane di spalle con i capelli corti cortissimi e rasata la silhouette del logo di Apple, precorreva quello che poi sarebbe diventato Apple: un colosso enorme spinto dalla potenza senza pari della rivoluzione post-PC avviata con iPhone.

Tuttavia, qualcosa c’era. Perché dobbiamo ammetterlo: il “vero” prodotto rivoluzionario non è stato iPhone, o prima iPod, o Apple Watch dopo e forse adesso Vision Pro. No, il vero prodotto rivoluzionario non è stato neanche Apple II nelle sue molteplici e cangianti incarnazioni degli anni Settanta-Ottanta (sino a fare capolino nei Novanta) o la pletora di altri apparecchi tra cui spicca il ricordo del Newton che, come James Dean e Jimi Hendrix è stato prediletto dagli dei che l’hanno chiamato a loro quando era troppo giovane.

Ecco i primi quarant’anni del Macintosh
Foto di Jason Leung – Unsplash

Non è stato iPad, AirPods o quant’altro. Neanche il primo, indomabile Apple-senza-numero-e-senza-scatola, che veniva venduto da montare e che solo a posteriori è stato chiamato Apple I. E vale un sacco di soldi, nel mercato matto del collezionismo di cose che appartengono al modernariato.

No, il vero e unico e inimitabile è un altro. Si chiama Macintosh, fin da subito però vezzeggiato come “Mac”. Ed è un apparecchio trasformativo. Perenne. Fondamentale. Se pensate che le altre siano state delle rivoluzioni, forse è perché non sapete cos’è una rivoluzione. All’intelligenza artificiale e al cloud piacerebbe avere un impatto paragonabile a quello che ha avuto e tutt’ora ha il Mac. Qui parliamo del futuro, signore e signori.

Un compleanno importante

Sembra impossibile, la retorica di questo tipo di articoli impone di scrivere a questo punto, che siano già passati quaranta anni e da 40 anni siamo, noi ed Apple, sulle spalle di questo gigante.

La redazione di Macitynet è arrivata professionalmente dopo la nascita del Mac, anche se le esperienze dei singoli predatano il lancio del computer (e si ricollegano piuttosto agli Apple II) anche perché la totalità dei redattori è venuta al mondo prima del 1984. In alcuni casi ben prima o, per meglio dire, sufficientemente prima. Sufficientemente nel senso che i singoli c’erano e già usavano il computer. O quel che c’era.

Per questo possiamo tutti quanti testimoniare senza ombra di dubbio: il Macintosh è stata la rivoluzione. Ci auguriamo di essere ancora qui per i 40 anni di iPhone (che arriveranno nel 2047) o per quelli di iPad (2050). E speriamo, ma già con qualche certezza incrinata, che ci sia la possibilità di vedere anche i 40 anni di Vision (Pro o non pro) nel 2073.

Ecco i primi quarant’anni del Macintosh

Una storia unica

C’è un prima e un dopo il Macintosh. Ci sono storie e leggende. Steve Jobs non ne fu il vero padre: era Jef Raskin, un genio di cui pochissimi cantano le gesta, che ebbe l’idea. E, assieme al buon Steve Wozniak si mise d’impegno a progettare un computer con interfaccia a riga di comando (come l’Apple II) ma con grafica applicativa adatta a bambini e persone che non sapevano usare il computer e un prezzo di entrata bassissimo.

Doveva essere la macchina per tutti, in Italia diremmo la 500 della rivoluzione, quella che ha messo le ruote all’Italia. Ma prima Wozniak rimase gravemente ferito in un incidente aereo e uscì di scena e poi Steve Jobs venne esautorato dal suo progetto di punta, cioè il Lisa (che finì per costare troppo e non avere abbastanza software) e si cercò un angolino della già grande Apple di fine anni Settanta inizio anni Ottanta tutto per sé.

Lo trovò e si mise all’opera, facendo fuori Raskin e ribaltando il progetto. Sono pochi gli eroi che hanno costruito il Macintosh. Alcuni venivano dal Lisa altri sono stati promossi sul campo. Le idee erano convergenti: la bandiera dei pirati svettava sul pennone.

C’era una rivoluzione da fare. Qualcosa di mai visto prima. La madre di tutte le startup interne. Dopo, qualsiasi cosa si fosse creata in questo settore avrebbe avuto il sentore di già visto, non importa quanto rivoluzionaria. Perché mai ci fu sforzo più grande e più completo, più generoso, violento e irrefrenabile di quello delle concezione e lancio del Macintosh.

Ecco i primi quarant’anni del Macintosh
Utente Flickr: Stefan Schlautmann

Sotto il vestito, la macchina

La prima versione dell’hardware raggiungeva la sufficienza al pelo, con un sacco di limiti (il Thin Mac non aveva abbastanza memoria e anche il processore e la scheda madre erano fortemente limitate rispetto alle potenzialità), i prezzi folli, il software lunare, il sistema operativo spettacolare, il design un capolavoro, il marketing geniale, la comunicazione incontenibile e persino il borsone per il trasporto, oh il borsone! Non fatemi neanche cominciare con il borsone. Che dire: tutto era stato pensato, tutto è stato fatto.

Ci sono i video della presentazione a Boston del Macintosh, quella in cui Steve Jobs lo tira fuori dal borsone, appunto, di serie e lo fa parlare, sullo sfondo della colonna sonora di Orizzonti di gloria di Vangelis. E la demo delle nuove funzioni a un pubblico che l’interfaccia grafica l’aveva sentita ma solo di rimbalzo e l’aveva vista solo stampata sulle pagine delle riviste di settore. E anche quelle pochissime.

C’è al riguardo anche l’epopea di MacWorld, la rivista Idg che nacque assieme al Mac e che fu una geniale idea di marketing e commerciale (vendeva 600mila copia al mese, con 400mila gratuite sovvenzionate da Apple).mac 1984

Le donne e gli uomini che fecero l’avventura

E ci sono altre mille storie da raccontare e che sono state raccontate, da Susan Kare e le sue icone e metafore, Bill Atkinson e le routine grafiche e i software (poco dopo avrebbe fatto anche HyperCard, che se fosse arrivato assieme al Mac sarebbe stata una rivoluzione al cubo) e poi quella di chi ha creato l’hardware, di chi ha pianificato tutta la manualistica, dell’agenzia che ha progettato la comunicazione, dall’immortale spot 1984 di Ridley Scott (vero pinnacolo della comunicazione anni Ottanta, altro che Swatch o videclip dei Duran Duran su Mtv) a tutti gli altri spot “veri” e alla comunicazione sui giornali.

Era un periodo della storia in cui si lavorava tanto a cose forse più semplici ma sicuramente più toste e si guadagnavano barche di soldi. E poi il lancio: Apple fece i test drive nei negozi, si poteva portare il Mac a casa e usarlo per 24 ore e poi decidere se comprarlo o riportarlo. Costosissimo, molti Mac venivano letteralmente vandalizzati (la gente ha uno spirito perfido a volte) e spesso non si potevano più rivendere.

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I prezzi erano folli, stellari: un Macintosh costava l’equivalente di settemila dollari di adesso, più le tasse. E un secondo floppy disk esterno (perché il computer aveva un solo floppy integrato che accettava dischetti compatti da 200 KB a una faccia sola e non aveva certamente un disco rigido ancora per qualche anno) costava tipo altri 1.000 dollari più tasse di adesso.

Il legato di Jobs

Tutto fenomenale. Tutto incredibile. E tutto destinato a creare una rivoluzione talmente forte da superare anche i suoi stessi limiti. La Apple senza Steve Jobs, la storia lo dimostra, è stata completamente disfunzionale. Nonostante il quantitativo enorme di talento all’interno dell’azienda e alla capacità tutta americana di creare struttura e assumere gente, l’azienda non è riuscita a mantenere la promessa che aveva fatto di rivoluzionare il mondo.

Dal 1985, anno di cacciata di Jobs, al 1997, anno del suo rientro (dodici anni dopo) l’azienda ha veleggiato sulle ali del Macintosh e di una rivoluzione il cui concetto era talmente potente da andare oltre addirittura i suoi stessi limiti. Apple ha cambiato uno dopo l’altro interi settori, a partire dal desktop publishing (l’editoria elettronica) e ha dato forma alla sua stessa concorrenza.

Bill Gates, che è stato uno dei più grandi sostenitori di Steve Jobs e del Macintosh per il quale ha sviluppato moltissimo software all’inizio, è stato completamente plagiato dal Macintosh, al punto da usare la stessa designer per farsi clonare le icone e l’interfaccia Windows su quella del Finder e del System.

La rivoluzione è stata talmente grande, profonda e radicale che ancora oggi, quando parliamo di Apple, nonostante iPod, iPhone, iPad, Apple Watch, AirPods, Apple TV e adesso Vision Pro, la cosa di cui parliamo in realtà è il Macintosh. Sempre e solo il Macintosh.

Apple Vision Pro supporterà la duplicazione dello schermo con AirPlay

La memoria del futuro

Nell’hard disk, che poi è un drive allo stato solido, di questo cronista ci sono un buon numero di articoli celebratori dei vari anniversari di Apple e dei suoi prodotti. Anche del suo leader, Steve Jobs, e della sua prematura scomparsa. Gli anniversari si succedono e intrecciano il filo del tempo assieme al lancio di nuovi prodotti e alla maturazione di giovani, nuovi leader che salgono nei ranghi dell’azienda.

Tra tutti gli articoli quelli che sono più preziosi sono però quelli che parlano del ruolo e della storia del Macintosh. Per tutto il mondo lo è. È un mondo nato da un’idea di informatica pionieristica ed elitaria degli anni Cinquanta-Sessanta, poi trasformata in un hobby particolare negli anni Settanta o in un divertimento per i ragazzini di allora (che per alcuni è diventata la vita). Un mondo che ha avuto un solo e unico rito di passaggio: l’arrivo del Macintosh.

Ecco i primi quarant’anni del Macintosh
Immagine in MacPaint 1.0 disegnata da Susan Kare

Il costosissimo Macintosh

C’è un prima e c’è un dopo. Certo, poi c’è chi ha fatto esperienza su altri computer, chi invece ai computer non si è mai avvicinato o lo ha fatto solo uno o due decenni dopo. Anche tre decenni dopo. Certo, il computer “per il resto di noi” in realtà è rimasto a mezz’aria, costosissimo, con limitazioni hardware dei primi modelli e poi una serie di problematiche davvero complicate nell’epoca di mezzo tra la partenza e il ritorno di Steve Jobs. Un qualcosa ancora di elitario anche se non così elitario come al principio.

Poi c’è stata una specie di esplosione cambriana del Macintosh, con l’epoca Steve Jobs che ha portato, grazie prima al nuovo design (iMac, iBook) poi al nuovo sistema operativo (Mac OS X), poi al nuovo paradigma d’uso (la mobilità ultrasottile del MacBook Air) e poi ai nuovi processori (Intel e poi Apple Silicon), a vedere cose incredibili.

Il computer di nicchia, quello di una minoranza settaria e carbonara diventa all’improvviso il computer di tutti, che riempie le aule delle università e le sale dei convegni e delle conferenze. Il Macintosh, il computer capace finalmente di diventare popolare, alla portata di tutti.

Macintosh, 40 anni di rivoluzione Apple

Nel corso di questi quaranta anni abbiamo visto, sia da utenti che da cronisti, succedere un po’ di tutto. La nicchia si è trasformata in argomento mainstream, gli articoli sinora passati dalle riviste di settore alle pagine interne dei giornali e poi alle prime pagine, per poi andare sul web. Il mondo è cambiato. Il punto di svolta, quella singola perturbazione che ha reso tutto diverso, è stato il Macintosh e la sua commercializzazione, esattamente quarant’anni fa.

Apple è “solo” un’azienda, ma è riuscita a crescere sino a raggiungere dimensioni spaziali, incredibili, come in un sogno selvaggio e irrefrenabile, anzi di più. Di tutti i punti alti della sua storia (ce ne sono stati, così come di punti bassi, in cui ha rischiato di chiudere per incapacità dei suoi amministratori dell’epoca) una cosa è rimasta sempre al centro. Il Macintosh. L’epitome, l’incarnazione in carne e alluminio di quella voglia forsennata di innovare e quella capacità incredibile di fare la differenza.

C’è un mondo prima del Macintosh e uno dopo il Macintosh. Anzi, uno senza e uno con il Macintosh. Che viene ancora oggi odiato, copiato, criticato, ostracizzato, minimizzato. Ma nessuno ancora si può sognare di ignorarlo, di non considerarlo, di sottovalutarlo. Perché il Macintosh è stata la vera innovazione. E oggi compie quarant’anni. I suoi primi quarant’anni.

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