Ieri se n’è andato un pezzo di storia dell’imprenditoria digitale (e non solo) italiana. Un campione della trasformazione forse arrivato troppo presto ma capace di lasciare il segno, anche se oggi è quasi dimenticato, avendo avuto forse l’unica colpa di essere nato in anticipo sui tempi.
Ieri è morto a Cagliari Nicola “Nichi” Grauso, imprenditore e visionario che ha segnato profondamente la storia di internet e dell’informazione italiana. Aveva 76 anni e da febbraio lottava contro un carcinoma a piccole cellule, definito da lui stesso nell’ultima intervista rilasciata a L’Unione Sarda “uno dei tumori più aggressivi, inoperabile“. La sua scomparsa chiude il capitolo di una vita unica, caratterizzata da un’instancabile tensione verso l’innovazione e da una capacità unica di anticipare i tempi.
Internet nel nostro Paese avrebbe avuto una storia completamente diversa, se non ci fosse stato Nichi Grauso. Nessuno come lui, infatti, ha saputo interpretare le potenzialità della rivoluzione digitale in Italia (e quanto ci sarebbe bisogno di un altro Grauso per l’intelligenza artificiale), portando il nostro Paese sulla mappa dell’informazione globale quando internet era ancora una creatura misteriosa e ignota ai più.
Infatti, se L’Unione Sarda divenne il primo quotidiano in Europa consultabile online, secondo nel mondo solo dopo il Washington Post, è stato merito suo. Ma andiamo in ordine e cominciamo dal princio. Cominciamo da prima degli albori di internet.

La storia di Nichi Grauso
Figlio di un commerciante di origine napoletana, Grauso si laureò in giurisprudenza all’Università di Cagliari nel 1975, lo stesso anno in cui iniziò la sua avventura nel mondo dell’informazione. Il suo primo progetto fu Radiolina FM 98 MHz, la prima radio privata in Sardegna e tra le prime in tutta Italia, nata in un appartamento di viale Marconi a Quartu Sant’Elena grazie a un trasmettitore militare recuperato in un mercatino a Livorno.
Quella che inizialmente venne considerata un’attività da “pirati” si trasformò presto in un’impresa capace di abbattere il monopolio statale delle comunicazioni. La nascita di Radiolina rappresentò infatti una pietra miliare nella storia dell’emittenza radiofonica italiana, con una sentenza assolutoria del settembre 1975 che aprì la strada alla libertà d’antenna in tutto il paese.
A pochi mesi dall’avventura radiofonica, il 6 settembre 1975, Grauso decise di conquistare anche il mondo televisivo con Videolina, la prima televisione via etere della Sardegna. Tra le prime emittenti private in Italia, Videolina iniziò a trasmettere sul canale UHF 38, proponendo inizialmente programmi in bianco e nero come i cartoni animati di Bruno Bozzetto e i film del neorealismo rosa.
La televisione di Grauso anticipò persino la RAI nel passaggio al colore (perché la televisione all’epoca era ancora in bianco e nero), trasmettendo parzialmente in sistema PAL prima del febbraio 1977, quando la televisione di stato iniziò le trasmissioni regolari a colori per tre ore al giorno.

Il grande salto nell’editoria
Il 17 maggio 1985, forte del successo decennale di Videolina e Radiolina, Grauso acquistò il principale quotidiano dell’isola, L’Unione Sarda. All’epoca dell’acquisizione, il giornale era tra gli ultimi in Italia a utilizzare ancora piombo e linotype, ma con un investimento di 20 miliardi di lire, Grauso lo trasformò radicalmente.
Nel 1986 arrivarono i primi computer in redazione quando ancora il Corriere della Sera e Repubblica usavano le macchine per scrivere, avviando quella che fu definita una vera e propria “rivoluzione culturale” nel modo di fare informazione. Nel 1987, l’imprenditore inaugurò un moderno centro stampa vicino all’aeroporto di Elmas, all’epoca il più grande e tecnologico del Mediterraneo, capace di stampare fino a quaranta pagine a colori.
Ma fu nel luglio 1994 che Grauso compì il suo capolavoro più visionario: come detto L’Unione Sarda divenne il primo quotidiano in Europa consultabile online, secondo nel mondo solo dopo il Washington Post. Era un’epoca in cui navigare sul web era un’attività per pochi pionieri. Ma Grauso aveva compreso, con straordinario anticipo, le potenzialità rivoluzionarie della rete globale che avrebbe trasformato per sempre il modo di comunicare, consumare informazioni e fare business.
Non soddisfatto di aver portato il giornale online, Grauso lanciò negli anni Novanta anche l’azienda con il marchio che chi ha vissuto la nascita di Internet ricorda ancora: Video On Line, il primo internet provider globale d’Italia, con punti d’accesso in ogni angolo della provincia italiana.

Fu una avventura pionieristica, tutto veniva chiamato “On Line” (vedi Italia On Line, ad esempio) e l’economia stava esplodendo attorno a una visione entusiastica e aggressiva che era quella che a posteriori sarebbe stata chiamata “New Economy”: la prima “bolla” speculativa nata attorno a una innovazione reale e tangibile, per quanto immateriale.
Internet, la nascita degli ecommerce, la promessa di una rivoluzione digitale. Se chi è nato dopo non ne ha idea, la prima generazione che ha messo i “denti” nella materia digitale è stata quella degli anni Novanta.
L’avventura per Video On Line si concluse nel 1996, quando l’imprenditore, a causa delle considerevoli perdite d’esercizio (era un’epoca di grandi entusiasmi, grandi investimenti ma di ritorni quasi inesistenti), fu costretto a vendere l’impresa a Telecom Italia, che ne utilizzò strutture e know-how per creare l’attuale Tin.it. “Pensavo che la rete avrebbe avuto un effetto salvifico, liberatorio, e parzialmente lo ha avuto“, dichiarò nell’ultima intervista, “ma non immaginavo questa evoluzione“.

L’avventura internazionale e la politica
Grauso però non aveva finito. Lo spirito pionieristico lo aveva portato a varcare i confini nazionali nella primavera del 1991, quando diventò comproprietario del Zycie Warsawy, principale quotidiano di Varsavia e secondo dell’intera Polonia. Nonostante offerte economicamente superiori da parte di giganti della comunicazione come la Maxwell Communications Corporation o il gruppo Hachette, la sua proposta prevalse grazie all’appoggio del presidente Lech Walesa, del sindacato Solidarnosc e dei giornalisti.
Anche in questo caso, Grauso replicò il modello già sperimentato con L’Unione Sarda: investimenti massicci nell’informatizzazione, creazione di un moderno centro stampa e rinnovamento completo del prodotto editoriale.
Le ambizioni di Grauso in Polonia non si limitarono alla carta stampata. Nel 1993, dopo aver acquisito diverse emittenti locali, annunciò la nascita di Polonia 1, una syndication tra 12 emittenti che raggiungeva 20 milioni di polacchi. Nonostante il successo iniziale e accordi con RAI e Fininvest, l’avventura polacca si concluse nel 1996, quando, in assenza di una legislazione favorevole alle televisioni private straniere, Grauso si disfece progressivamente delle sue attività nel Paese e sostanzialmente finì l’avventura polacca.
C’era anche un altro fronte. Nel luglio 1997, dopo un acceso scontro con l’allora presidente della Regione Sardegna Federico Palomba, Grauso lasciò gli incarichi editoriali e fondò un movimento politico chiamato “Nuovo Movimento”. Il programma puntava su zona franca, turismo, agricoltura e informatica avanzata, temi che sarebbero rimasti centrali nel dibattito sulla Sardegna per i decenni successivi. Alle elezioni comunali di Cagliari del 1998, Grauso si candidò come sindaco ottenendo il 14,47% delle preferenze, che gli valsero un seggio in consiglio comunale.

Gli ultimi progetti e l’eredità
Dopo altre iniziative discusse, nell’ottobre 2004 Grauso tornò nel settore dell’editoria creando una rete di quotidiani regionali e locali sotto la sigla nazionale E Polis. La peculiarità di questi giornali era un’aggressiva politica di distribuzione gratuita, che anticipò un modello poi seguito da altri gruppi editoriali, nascendo sull’esempio del gruppo scandinavo “Metro”.
Tuttavia, anche qui c’era praticamente tutto tranne che i risultati economici. Una grave crisi finanziaria determinò prima la sospensione delle pubblicazioni nel luglio 2007, poi la breve ripresa a settembre dello stesso anno, e infine la cessazione definitiva nel gennaio 2011.
Gli ultimi anni di Grauso sono stati segnati da uno strascico di vicende giudiziarie, tra cui un’accusa di bancarotta fraudolenta per il fallimento della cartiera di Arbatax, dalla quale venne definitivamente prosciolto in Cassazione. A febbraio 2024 ricevette la diagnosi del carcinoma a piccole cellule che lo ha portato alla morte. Nonostante la malattia, mantenne fino all’ultimo la sua visione critica e lucida: “Non ho percezioni negative e non so più cos’è la depressione, lavoro con una potenza che non conoscevo“, aveva dichiarato pochi mesi fa.
La scomparsa di Nichi Grauso, al di là del dolore per la sua famiglia e i suoi amici, lascia oggettivamente un vuoto nel panorama imprenditoriale italiano e segna la fine di un’epoca pionieristica dell’informazione. La sua eredità rimane intatta nelle strutture che ha creato e nell’approccio rivoluzionario che ha saputo portare nel mondo dell’editoria e della comunicazione. La sua non è una nota a pie’ di pagina, ma un intero capitolo necessario a raccontare l’evoluzione tecnologica del nostro Paese.
In un’epoca in cui internet rischia di diventare un luogo sempre più distante dagli ideali originari, il ricordo del suo spirito innovatore e della sua visione di una tecnologia al servizio dell’umanità rappresenta un ricordo e un patrimonio prezioso per noi che veniamo dopo.
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