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Le app sull’App Store ora si preordinano anche sei mesi prima

Apple ha perfezionato di nuovo il suo App Store: da questo momento infatti gli sviluppatori possono creare i pre-ordini delle proprie applicazioni con un anticipo di sei mesi, il doppio quindi rispetto ai tre mesi concessi fino a poche ore fa. Questa mossa – scrive Apple in un post sul portale per sviluppatori – da un lato consentirà ai clienti di pre-ordinare le applicazioni fino a 180 giorni prima che vengano rilasciate sul negozio, dall’altro gli sviluppatori hanno molto più tempo per creare aspettativa su ciò che stanno per rendere disponibile sul negozio, incoraggiando così i preordini.

Questa possibilità era stata estesa a tutti gli sviluppatori da Apple il 12 dicembre del 2017 e da quel momento è valida per tutte le applicazioni disponibili su iOS, macOS e tvOS. All’epoca c’erano infatti state diverse polemiche in merito al fatto che Apple concedeva questa opportunità soltanto a pochi sviluppatori: ben noto è l’esempio di Super Mario, che fu ampiamente pubblicizzato sull’App Store prima del suo rilascio ufficiale.

Le app sull’App Store ora si preordinano anche sei mesi prima

I preordini si possono attivare sia per le applicazioni gratuite che per quelle a pagamento. In quest’ultimo caso non ci sarà alcun addebito fino a quando l’app non sarà pubblicamente disponibile al download e, fino a quel momento, c’è la possibilità di cambiare idea ed annullare tutto. Invece, nel momento in cui l’app viene rilasciata, chi l’ha preordinata riceverà una notifica attraverso il quale viene informato del fatto che l’app verrà scaricata ed installata automaticamente entro 24 ore.

Avere il doppio del tempo significa poter investire di più in pubblicità e quindi potenzialmente si può generare un maggiore coinvolgimento, aumentare pre-ordini e download e, di conseguenza, aumentare i ricavi degli sviluppatori e la percentuale di incasso di cui Apple beneficia per tutte le transazioni che passano per App Store. Al momento infatti è ancora presente la commissione al 30%, recentemente criticata da Epic Games e da diversi altri giganti del settore, inducendo gli antitrust ad avviare delle indagini per valutare la questione a fondo.

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