L’Italia si trova nel pieno del “dilemma della fiducia” sull’Intelligenza Artificiale: le aziende credono nell’AI, ma la tecnologia non sempre è affidabile.
È quanto emerge dalla ricerca “IDC Data & AI Impact Report: The Trust Imperative”, commissionata da SAS e basato su un sondaggio rivolto a professionisti IT e business leader.
Un’ampia percentuale di organizzazioni si trova nella “zona a rischio” a causa dell’alta fiducia nell’AI e della bassa affidabilità dei sistemi (e viceversa). Questo squilibrio indica il rischio di utilizzare soluzioni non comprovate o non sufficientemente dotate di governance. Allo stesso tempo, numerose organizzazioni si trovano nel quadrante “bassa fiducia” e “bassa affidabilità”, aspetto che indica un potenziale inespresso in caso di introduzione di pratiche e governance più forti.
Tuttavia, solo il 6% ha raggiunto un equilibrio tra fiducia e affidabilità, un dato inferiore alla media globale (9%) ed europea (8%).
Nel complesso, questo fa sì che l’Italia presenti un indice di impatto dell’AI (misura quantitativa del valore e dei risultati di business ottenuti mediante gli investimenti nell’AI, attraverso fattori come produttività, innovazione, customer experience, efficienza operativa e ritorni finanziari) di 3,01 su 5, mentre il suo indice di affidabilità cala a 2,73 su 5.
Le organizzazioni italiane appaiono in linea con i modelli globali di adozione dell’AI, ma presentano differenze significative. Rispetto alla media globale, in Italia è presente un numero inferiore di organizzazioni collocate nelle fasi iniziali e più realtà dove le iniziative di AI sono orientate all’organizzazione, ma hanno un obiettivo a breve termine (41% VS 32,5%), oppure dove l’IA si presenta sotto un profilo “integrato” e continuativo (40% VS 27,9%), che coinvolge sia le operation che le esperienze dei clienti e i servizi, segnale di un mercato più avanzato rispetto alle fasi pilota
Questo indica che l’adozione dell’AI in Italia sta progredendo, con molte organizzazioni che vanno oltre progetti pilota ed esperimenti, avviando un’integrazione dell’AI più strutturata.
Anche per quanto riguarda l’infrastruttura dati, le organizzazioni italiane sembrano aver investito nella costruzione di basi più solide creando un ambiente favorevole per la scalabilità delle iniziative di AI, in linea con i trend globali:
- il 27% delle aziende ha una infrastruttura dati “gestita”, dove i processi di architettura dati sono integrati in tutta l’organizzazione, con aggiornamenti iterativi che rispecchiano le esigenze di business;
- invece il 52% ha una struttura “standardizzata”, con governance standard e modelli operativi chiari, ma una conformità ancora incompleta.

Competenze e data quality: le criticità principali che ostacolano la maturità dell’AI
Secondo il report, il progresso in ambito AI in Italia è ostacolato da due fattori chiave.
La carenza di talenti e competenze. La mancanza di personale qualificato ha un’incidenza superiore di oltre 12 punti percentuali rispetto al dato globale, a cui si aggiungono poi l’assenza di una solida data governance (+1,6%), competenze tecniche limitate (+1%) e un insufficiente supporto da parte del management (+4%).
La qualità dei dati. Le imprese italiane evidenziano maggiori difficoltà (+10,8%) rispetto alla media globale, anche nel merito della preparazione dei dati stessi: il 2% in più delle aziende dichiara di avere difficoltà di accesso alle fonti di dati mentre il 4% in più ha citato i costi di archiviazione ed elaborazione. Ciò indica un ostacolo fondamentale: senza la presenza di dati affidabili e di alta qualità, le organizzazioni non riusciranno a scalare le iniziative di AI o ottenere risultati affidabili.
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