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Da oggi MacOS X è più vecchio di Mac OS: una storia che non finirà

Si avvicina il momento della WWDC 2018 che vuol dire l’arrivo di nuove versioni di macOS 10,14 e iOS 12, i due sistemi operativi princiali di Apple. Ma in questi giorni c’è un’altra data simbolica che viene passata: è il momento in cui macOS diventa più anziano di Mac OS classico (Finder e System, per intendersi, del Macintosh).

Infatti, oggi sono passati 17 anni e due mesi dalla nascita, il 24 marzo 2001 (anche se l’annuncio avvenne prima, con preordini in febbraio, di Mac OS X, che poi sarebbe stato rinominato macOS, basato su BSD e Unix. Sono 6270 giorni per la precisione. Cioè uno in più del tempo passato dal lancio del Macintosh originale (24 gennaio 1984) e la dismissione ufficiale del sistema operativo appunto il 24 marzo 2001. Per dire: macOS è diventato più grande o, se vogliamo, più vecchio di Mac OS.

Questo non vuol dire che l’esperienza di questo sistema operativo si avvii alla fine, anzi. Perché sappiamo che non solo verranno presentate novità sia per iOS che per macOS, ma anche che Tim Cook è contrario all’idea di una fusione o comunque di far scomparire macOS a favore di iOS (sistema operativo di gran lunga più diffuso, visto il numero di terminali iPhone/iPad nel mondo rispetto ai Mac). Al massimo, con il progetto Marzipan (che per adesso sembra rinviato), ci sarà una maggiore integrazione del software. Forse nel futuro ci sarà una nuova migrazione di processori, da quelli x86 verso quelli basati sul design ARM che fanno girare iOS su iPhone e iPad.

Apple con macOS ha trovato una stabilità necessaria all’azienda, che da anni vive un regime di costante transizione da molti altri punti di vista: il passaggio dal vecchio al nuovo sistema operativo, dalla versione PowerPC a quella Intel, dalla versione 32 a quella pura a 64 bit che renderà incompatibili le app a 32 bit nella prossima versione 10.14). Stabilità di un sistema operativo all’intero di un sistema di riferimenti in costante cambiamento. Anche dal punto di vista hardware i prodotti Apple per macOS si dividono in due categorie: aggiornati di frequente anche se con qualche critica (MacBook e MacBook Pro, iMac) oppure lasciati “maturare” (Mac Pro e Mac mini) sino al limite dell’obsolescenza. Instabilità tenuta assieme da un sistema operativo generoso, potente, stabile, che si è dimostrato la scelta tecnologica più giusta da parte di Apple quando ha valutato l’acquisizione di NeXT, la società di Steve Jobs che era in ballo con BeOS di Jean-Louis Gassée.

Un sistema operativo che per gli utenti di vecchia data, quelli nati evidentemente con la versione classica del Macintosh (alcuni a colori, ma altri addirittura in bianco e nero o con sedici toni di grigio, a seconda della generazione di macchine immesse sul mercato), è ancora fonte di meraviglia e di stupore. Mentre viene dato per scontato e per acquisito da parte degli utenti più recenti (ammesso che abbia senso dire “recenti” dopo 17 anni). Muovere il sistema operativo e l’ecosistema di applicativi Macintosh dalla versione classica del sistema operativo a quella creata dagli ingegneri di NeXT è stata una fatica epocale.

Invece, l’unico sforzo ancora più epocale e radicale, forse più difficile sicuramente ancora più importante, è stato quello oramai dimenticato da tutti ma fondamentale, portato avanti dall’allora delfino di Steve Jobs, Scott Forstall, di ridimensionare senza depotenziare Mac OS X trasformandolo in iPhone OS, poi diventato iOS. Quest’ultimo ha solo 3983 giorni. Un ragazzino in confronto ai 6270 giorni di macOS…

 

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