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Cook riporta a casa i magneti Apple, tecnologia, riciclo e politica

Mezzo miliardo di dollari per un contentino a Trump. Ecco quel che mette sul piatto Apple, sotto pressione – come molte, e forse più di molte altre aziende americane – da parte dell’amministrazione statunitense per la scelta di assemblare tutti i suoi prodotti all’estero.

L’investimento è quello per la produzione di magneti e del riciclo di terre rare sul suolo statunitense, con il quale Apple sposa – anche se non lo dice esplicitamente – una delle visioni economiche più care alla Casa Bianca: riportare l’industria in America.

Magneti per iPhone, prodotti in Texas

Il cuore dell’accordo, che suona come un altro piccolo capitolo della “reindustrializzazione patriottica” rivendicata per anni dall’ex presidente, è la costruzione di una serie di linee produttive di magneti al neodimio nello stabilimento texano di MP Materials, progettate specificamente per i prodotti Apple.

Questi componenti sono fondamentali per i motori dei dispositivi elettronici: si trovano nei Taptic Engine degli iPhone, nei motori delle trackpad dei MacBook, nelle cuffie, nei sensori.

Fino a oggi, la produzione globale di queste terre rare è stata dominata dalla Cina, che controlla estrazione, raffinazione e manifattura. Apple vuole ora accorciare la filiera, rendendola più resiliente e, soprattutto, più americana.

Il nuovo impianto texano aumenterà significativamente la capacità produttiva, alimentando la catena di fornitura globale di Apple con magneti “Made in USA”.

Tim riporta a casa i magneti Apple, tecnologia, riciclo e politica - macitynet.it
Image courtesy of Apple

Riciclo di terre rare: nasce un impianto in California

A Mountain Pass, in California, sorgerà una nuova linea di trattamento in grado di recuperare terre rare da materiali riciclati, come rifiuti elettronici e scarti industriali.
Apple e MP Materials lavorano da anni su questa tecnologia, e ora puntano a renderla scalabile.

Già oggi quasi tutti i magneti nei prodotti Apple sono realizzati con terre rare riciclate. Il nuovo impianto servirà a consolidare questa pratica, con un focus particolare sulla qualità: i materiali dovranno rispondere agli elevati standard richiesti per l’integrazione nei dispositivi Apple.

Il progetto porterà con sé decine di nuovi posti di lavoro nei settori della produzione e della ricerca.

Apple e MP Materials collaboreranno anche su programmi di formazione, per creare una generazione di tecnici specializzati in un settore che negli Stati Uniti è quasi inesistente da decenni.

Non è solo un tema di materiali o sostenibilità, ma una vera operazione industriale con ricadute sul tessuto produttivo americano. Un’operazione che ricalca molti degli obiettivi dichiarati da Trump durante il suo primo mandato, e ripresi nella nuova campagna presidenziale.

Una risposta simbolica

Tim Cook rivendica il senso dell’operazione: «L’innovazione americana è alla base di tutto ciò che facciamo in Apple, e siamo orgogliosi di rafforzare il nostro impegno nell’economia degli Stati Uniti», ha dichiarato, sottolineando come i materiali rari siano «essenziali per la realizzazione delle tecnologie avanzate» e ribadendo la volontà dell’azienda di «continuare a investire nell’ingegno, nella creatività e nello spirito innovativo del popolo americano».

Dietro questo annuncio c’è ovviamente anche una risposta ai crescenti timori sulla dipendenza dagli approvvigionamenti cinesi. Le tensioni geopolitiche, la guerra dei dazi e la necessità di rendere più sicure le catene di fornitura hanno spinto molte aziende americane a riconsiderare dove e come producono.

Apple non è nuova a questo tipo di trasformazioni: ha già avviato produzioni in India e Vietnam per diversificare i rischi. Il ritorno in patria segue la stessa scia, anche se qui c’è un messaggio ben più soddisfacente (per Trump) da recapitare agli stakeholder politici ed economici americani.

È poca, se non pochissima roba, rispetto a tutto ciò che Apple ha costruito in Asia in termini di catene di approvvigionamento e sostanzialmente resta irrilevante nelle sue strategie globali. Ma si sa: in certi ambienti, i segnali simbolici contano più dei numeri.

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