Sono giorni di alta tensione all’interno dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali e la tutela della privacy. Quella che sembrava una normale questione organizzativa si è trasformata in un caso che ha portato alle dimissioni del Segretario Generale, Fabio Fanizza, e a un duro scontro interno tra i membri del Collegio e la struttura amministrativa.
Secondo quanto trapelato, il clima a Piazza Venezia era già incandescente ben prima delle dimissioni del Segretario Generale. La miccia iniziale sarebbe stata accesa da un problema tecnico: i server dell’Autorità erano andati in tilt, sommersi da un’ondata di segnalazioni (il cosiddetto mail bombing) da parte di utenti esasperati dal telemarketing selvaggio.
In quell’occasione, Guido Scorza, membro del Collegio del Garante, avrebbe perso la pazienza. In una mail dai toni definiti “molto accesi”, Scorza avrebbe duramente criticato l’inefficienza dei sistemi informatici dell’ente. Una sfuriata che non è stata digerita da Cosimo Comella, storico dirigente del dipartimento IT (e genero del Presidente della Repubblica), il quale ha risposto a tono difendendo i suoi tecnici e rispedendo al mittente le accuse, giudicate “sgradevoli”.
In questo contesto di frizioni interne sono arrivate le dimissioni di Fabio Fanizza, Segretario Generale dell’Autorità dal luglio 2020. Sebbene la tempistica – a ridosso dello scontro via email – abbia fatto ipotizzare una correlazione diretta tra i due eventi, la versione ufficiale viaggia su binari diversi.

Il motivo dietro alle dimissioni
A gettare una luce particolarmente curiosa sulle dimissioni di Fanizza interviene la trasmissione d’inchiesta Report, che attraverso i suoi canali social ha diffuso un retroscena ben più allarmante.
Secondo la ricostruzione del programma, poche ore fa sarebbe emerso un documento interno riservato che avrebbe fatto precipitare la situazione. Stando a quanto riferito, il Segretario Generale avrebbe inviato, in data 4 novembre (soli due giorni dopo la messa in onda della prima parte dell’inchiesta televisiva sul Garante), una richiesta urgente al dirigente del dipartimento informatico.
L’oggetto dell’ordine sarebbe stato la raccolta massiva di dati sui dipendenti dell’Autorità: dall’estrazione della posta elettronica ai log degli accessi VPN, passando per il monitoraggio delle cartelle condivise e dei sistemi di sicurezza. Quello che Report definisce senza mezzi termini come un tentativo di “spiare i lavoratori” si sarebbe però scontrato con il rifiuto della struttura tecnica.

La risposta dei vertici dell’Autorità Garante non ha tardato ad arrivare. Con una reazione immediata, il Collegio ha voluto chiarire tramite comunicato stampa ufficiale la propria posizione, dichiarando la “totale estraneità” rispetto all’iniziativa assunta dall’ex Segretario Generale. I vertici hanno tenuto a precisare che quella richiesta, volta a ottenere i dati sull’utilizzo dei sistemi informatici da parte dello staff, è rimasta lettera morta e non è mai stata eseguita.
In una nota ufficiale, il Garante della privacy ha inoltre colto l’occasione per ribadire un principio cardine del proprio orientamento giuridico storico: l’accesso da parte del datore di lavoro a determinate informazioni digitali dei propri dipendenti rappresenta, di fatto, una potenziale violazione del diritto alla riservatezza.
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