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Copia privata, la tassa sulle memorie di archiviazione aumenta e ora si pensa di tassare il cloud

Il “compenso per copia privata” o “equo compenso” è una tassa italiana applicata al costo complessivo di smartphone, computer, hard disk, chiavette USB, tablet, lettori di musica Mp3 e anche supporti come CD e DVD, pensata per remunerare autori e industria della cultura, ricompensando il potenziale uso su questi dispositivi di opere protette dal diritto d’autore, un “compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi” destinati a uso personale, un sistema che appare anacronistico tenendo conto che ormai da anni molti utenti pagano abbonamenti a servizi e piattaforme come Spotify, Apple Music, Netflix, Amazon Prime Video, ecc., senza effettuare “copie private” di alcunché.

Il Corriere della Sera riferisce che le tariffe che dovrebbero permettere di ricompensare gli autori e, a cascata l’industria culturale, per la copia di canzoni o video già in nostro possesso, varia da pochi centesimi fino a 20 euro. Non è detto che copieremo qualcosa sui supporti prima citati ma la tassa si paga a prescindere, anche quando compriamo, ad esempio, un iPhone, un Mac o altro dispositivo che in qualche modo consente la memorizzazione di elementi multimediali.

Anche sul cloud?

Il ministro della Cultura sta a quanto pare valutando di introdurre tariffazione anche a carico di servizi cloud (iCloud, Dropbox, Google Drive e affini) con un un massimale di 2,4 euro al mese per utente, quasi 30 euro l’anno, una tariffazione che non si comprende in che modo dovrebbe essere applicata tenendo conto che i sistemi cloud sono fiscamente collocati fuori dal territorio italiano.

Mario Pissetti, presidente dell’Asmi, Associazione di categoria dei Produttori di Supporti e sistemi multimediali, riferisce che Lunedì 15 settembre terminerà la consultazione pubblica sul tema del Ministero della Cultura; dopo l’incontro il ministero dovrebbe calcolare le nuove tariffe con aumento dei compensi sulla base della bozza presentata dal Comitato Consultivo per il Diritto d’Autore (che non vede tra i suoi membri né produttori hardware né rappresentanti dei consumatori).

Il balzello in questione dura da oltre 30 anni; è stato introdotto nel 1992 e dal 2003 sono state previste tariffe fisse in base alla capacità di memoria, poi confermate con un decreto del 2009.

Già lo scorso anno una bozza di decreto del Ministero della Cultura prevedeva aumenti dei compensi fino al 40% per smartphone e tablet di grande capacità, con incrementi di una media del 20% per CD, DVD, microSD, chiavette USB, HDD e SSD, e del 17% per memorie integrate, e anche per dispositivi ricondizionati, imponendo dunque il pagamento doppio (all’acquisto del dispositivo nuovo e all’acquisto del dispositivo usato).

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Anche in altre nazioni ma l’Italia è la più cara

Il compenso per copia privata esiste anche in Europa, ma nelle altre nazioni le tariffe sono più contenute. Su una chiavetta USB da 256GB in Italia si paga una tariffa di 8,76 euro, in Francia 4 euro, in Spagna 0,24 euro, nei Paesi Bassi 0,90, in Belgio 1 euro, in Germania 0,30. Per un disco rigido da 2 TB in Italia si pgano 20 euro, in Francia 6 euro, in Spagna 6,45, nei Paesi Bassi 0,90, in Belgio 5 euro, in Germania 4,44 euro.

ASMI parla di “importi onerosi” spiegando che questi non rispecchiano in alcun modo la situazione tecnologica, e le modalità di fruzione dei contenuti, meccanismi destinati a incoraggiare il mercato illegale: per pagare meno è più conveniente acquistare tramite e-commerce o da negozianti all’estero che non versano il compenso per copia privata. «Le nuove tariffe prevedono un aumento del 20%, ma i prezzi dei supporti sono per loro natura in costante diminuzione e l’incremento dei compensi comporta il verificarsi di assurde incidenze, fino al 150% del valore del prodotto e in ogni caso mediamente del 50%».

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