La divisione AI di Apple sta perdendo pezzi ad un ritmo impressionante. Venerdì scorso, dopo le defezioni delle settimane precedenti, ha lasciato l’azienda anche Bowen Zhang, ricercatore chiave specializzato in intelligenza artificiale multimodale.
Zhang, come spiega Bloomberg, lavorava nel gruppo Apple Foundation Models (AFM), il team responsabile dei modelli su cui si basa Apple Intelligence, la piattaforma che integra l’AI nei dispositivi dell’azienda. Anche lui, come altri prima, ha scelto di passare a Meta, più precisamente al nuovo team dedicato alla “superintelligenza” che sta neppure troppo lentamente prosciugando a suon di assegni milionari le risorse umane di Cupertino.
Si tratta del quarto addio in un solo mese. Prima di Zhang avevano già lasciato Tom Gunter, Mark Lee e soprattutto Ruoming Pang, considerato la mente strategica dell’AFM. Secondo Bloomberg, Meta lo avrebbe convinto con un’offerta da oltre 200 milioni di dollari.
Un team centrale in crisi di identità
L’AFM , come spiega Bloomberg che ha anticipato la notizia della partnza di Zhang, è un gruppo ristretto composto da poche decine di ingegneri tra California e New York, ma con un ruolo cruciale. È qui che sono stati sviluppati i modelli fondativi di Apple Intelligence, dalle funzionalità generative integrate nei sistemi operativi alla nuova versione di Siri.
Ora però Apple si trova davanti a una possibile svolta strategica: sta prendendo in considerazione l’adozione di modelli di terze parti – come ChatGPT di OpenAI o Claude di Anthropic – al posto di quelli sviluppati internamente. L’idea nasce dalla convinzione, diffusa in parte del management, che i modelli proprietari siano diventati un freno: meno potenti, meno flessibili e troppo lenti da evolvere rispetto alla concorrenza.
Una doppia strada che disorienta il team
Nonostante questa apertura, non è stata ancora presa una decisione definitiva. Apple continua in parallelo a lavorare su una versione interna di Siri basata su nuovi modelli AFM. Ma proprio questa doppia traiettoria – tra sviluppo interno e possibile esternalizzazione – sta generando incertezza all’interno del team.
Molti ingegneri si chiedono se il proprio lavoro sarà valorizzato o accantonato. La sola ipotesi che la piattaforma possa essere alimentata da un modello esterno sta minando la fiducia e l’entusiasmo di chi da anni lavora sull’AI in casa Apple.
Per questo, i dirigenti stanno cercando di rassicurare il gruppo: i modelli interni – dicono – restano fondamentali per la strategia di lungo periodo. L’intenzione dell’azienda, come già accaduto con i chip delle serie M e A, sarebbe quella di possedere anche le fondamenta dell’intelligenza artificiale, senza dipendere da partner esterni.
I limiti strutturali della scelta Apple
Ma c’è un ostacolo non banale: la storica attenzione alla privacy. Apple privilegia da sempre l’elaborazione dei dati direttamente sul dispositivo, evitando il ricorso al cloud. È una scelta coerente con la sua identità, ma che penalizza l’efficacia dei modelli AI.
Un iPhone, per quanto potente, non può competere con i data center di Google o Meta. Apple Intelligence si basa su un modello on-device da circa 3 miliardi di parametri, mentre i concorrenti operano con sistemi cloud che superano il bilione. Anche il modello cloud proprietario Apple – stimato attorno ai 150 miliardi di parametri – fatica a tenere il passo.
Un futuro da ricostruire
Oggi la guida del team AFM è affidata a Zhifeng Chen, sotto la supervisione di Daphne Luong, che a sua volta riporta al vicepresidente AI John Giannandrea. Ma gli equilibri interni sono fragili, e la fuga di talenti potrebbe non essersi conclusa.
Apple punta ancora ad avere il controllo sulle tecnologie fondamentali, ma nel contesto attuale – fatto di pressioni competitive, incertezza strategica e attrattività crescente dei rivali – mantenere questa posizione richiederà scelte radicali sul fronte degli investimenti, della visione e della cultura interna.


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